Vanessa Contini, Casting Director: saper osare per essere contemporanei

Vanessa Contini fotografa un modello

Vanessa Contini è una Casting Director, colei che sceglie i modelli e le modelle protagonisti delle storie di moda. E non si tratta di una mera questione di estetica: oggi, sostiene, a vincere è soprattutto la personalità.

 

 

Ho sempre amato la moda e tutto ciò che le ruota attorno. I designer, le sfilate, le modelle, il prêt-à-porter, la haute couture… per me non erano solo abiti, quelli che ammiravo sfogliando il Vogue acquistato da mia madre, bensì il riflesso di chi e cosa eravamo in quel preciso momento storico. La moda, ai miei occhi di bambina e a quelli più scafati d’adulta, costituiva una fotografia in grado di raccontare l’identità della società e della cultura all’interno della quale ero – anzi, sono – immersa. Per questo motivo mal sopporto chi la definisce stupida o superficiale, dimostrando di non riuscire ad andare oltre una gonna midi a vita alta in popeline di cotone o ai volti che calcano la passerella.

 

 

All’inizio degli anni ’90, in un’epoca dominata da amazzoni come Claudia Schiffer, Linda Evangelista, Naomi Campbell, fa capolino una ragazzina che, dal basso del suo metro e settanta scarso, delle sue gambe vagamente storte e della sua dentatura non esattamente perfetta, inizia a scardinare e a sovvertire le logiche che (fino a quel momento) avevano regolato la bellezza e l’estetica femminile.

L’arrivo di Kate Moss rimescola le carte in tavola e ci pone innanzi due grandi interrogativi. Il primo, di natura se vuoi più filosofica: lo yuppismo anni ’80 non ci rappresenta più?

Il secondo, di natura se vuoi più prosaica: perché, nonostante i suoi evidenti difetti, siamo così irresistibilmente attratti da lei?

Libri di storia e manuali di sociologia avrebbero provveduto in maniera adeguata a spiegare l’ascesa del minimalismo anni ’90; per quanto riguarda invece la Moss si trattò della fortunata intuizione di Sarah Doukas, fondatrice dell’agenzia Storm, che era stata capace di «vedere prima dagli altri come stava cambiando l’estetica, proponendo al mondo qualcosa che avrebbe spopolato nell’immediato futuro».

 

A chiarire l’importantissimo ruolo di Doukas è Vanessa Contini, casting director milanese per testate come Icon, GQ, L’Uomo Vogue, che ha lavorato per brand come Moschino e Pinko. Dopo una laurea in lingue comincia a lavorare in una galleria d’arte milanese; lì conosce una ragazza che la convince a passare alla moda e lei – seppur innamorata dell’arte – la segue. Nel 2002 è nell’ufficio stampa di Costume National. «Facevo la PR ma non mi piaceva. Di natura mi ritengo una persona piuttosto intima, e in generale non amo essere così esposta: dopo un po’ di tempo mi sono licenziata di punto in bianco e la mia strada ha nuovamente incrociato quella di Andrea Tenerani (l’attuale direttore di Icon, ndr), che era stato chiamato a fare lo styling della sfilata di Moschino. Gli avevano chiesto se facesse anche casting, e lui ha pensato a me: mi ha chiamata chiedendomi se volevo salire a bordo, io gli ho spiegato che non avevo mai fatto un casting in vita mia ma lui ha voluto provare lo stesso».

 

 

In un certo senso scopre una vera e propria vocazione, perché «sin da subito sono riuscita a vedere le persone, le modelle, i modelli, a riconoscerli». Galeotta fu quindi la sfilata di Moschino, grazie a cui decolla da zero una nuova carriera da casting director. «Tecnicamente il casting director è colui che seleziona una rosa di modelli e modelle che potrebbero corrispondere a ciò che si vuole raccontare in una storia di moda. Si tratta di un lavoro che viene fatto in sinergia con fotografo, stylist, fashion editor. Il casting director trova i visi, le facce, li ‘pesca’ e li propone. La scelta viene poi fatta insieme, ma il primo punto d’osservazione è il suo».

Già, perché definirli ‘servizi di moda’ è altamente riduttivo. «Sono di ‘storie’, storie di moda. In ognuna c’è un racconto, un’ispirazione: bastava sfogliare il Vogue Italia di Franca Sozzani per notare quanto fossero legate al contesto sociale in cui viviamo. Ovviamente c’è dietro una professione, non solo un lavoro, nonché tantissima ricerca: bisogna sintetizzare in poco tempo un messaggio potente, e ogni cosa dev’essere perfetta, dal trucco, ai capelli, passando per la location, gli abiti, le luci, e – ovviamente – le modelle».

 

Contrariamente a quanto si pensi, non basta scegliere un fotografo della madonna per portare a termine un bel lavoro. «Qualsiasi fotografo ha bisogno di una brava interprete, ed è lì che la modella diventa fondamentale. È lo stesso discorso del regista con l’attrice: nonostante si tenda a ritenete l’immagine un qualcosa di superficiale, privo di contenuto, dietro c’è un mondo di studio, di ricerca e di narrazione».

«A parità di condizioni, tra due modelle ugualmente bellissime, vincerà quella con più personalità». Vanessa Contini

Il casting director s’inserisce in questa dinamica cercando di «immaginare una determinata persona all’interno del contesto in cui la si vuole proporre. Se ad esempio si deve fare una campagna stampa ispirata a un film di Antonioni, si tenterà non tanto di ricalcare quei canoni estetici (già molto alti), bensì di volgere lo sguardo, di spingersi un po’ più in là anticipando quello che il pubblico ancora non sa di volere. Spesso il casting director è un precursore: si accorge di come sta cambiando il concetto di bellezza attraverso i modelli e le modelle che gli sfilano davanti agli occhi, trovando interessante qualcuno che rappresenta una sorta di ‘rottura’. Oggi la personalità vince sull’estetica, tanto che adesso si tende a privilegiare la street people, persone vere, della strada, mentre una volta la modella doveva essere perfetta. Prima c’era una sorta di ‘rigore’ nella fisicità, che ora non è più così imprescindibile».

La conversazione con Vanessa Contini, che è pacata, a tratti timida, e non possiede quegli atteggiamenti dispotici e arroganti tipici dell’élite del fashion, sfocia in una riflessione sui due sessi e sulle loro diverse ‘funzioni’ nel nostro personale immaginario. «In generale non ci si identifica col modello maschile, che non rappresenta un punto di riferimento: qui l’estetica si scollega, perché l’uomo in primo luogo dev’essere affascinante, interessante, colto e non bello in senso stretto. Alla donna tocca invece aderire a canoni estetici, e la modella assolve a un duplice ruolo: da un lato pare inarrivabile, ma dall’altro risulta pure in fondo rassicurante, in quanto diventa qualcuno a cui ispirarsi, una sorta di ideale».

 

 

Vero è che oggi, rispetto al passato, ognuno è libero di scegliere il suo canone estetico, che non risulta più imposto dall’alto. «A parità di condizioni, tra due modelle ugualmente bellissime, vincerà quella con più personalità: la vedi arrivare e lo senti, lo noti da com’è vestita, da come si muove, da piccoli dettagli che ti fanno capire che ha carisma e stile. E alla fine ti interessa maggiormente ciò che quella persona è in grado di comunicare».

«Devi ricordati i nomi, i cognomi e i volti di tutti i modelli che incontri nella tua vita». Vanessa Contini

Lei, che per una sfilata di moda vede almeno 200 modelle (e ne seleziona al massimo 30), ormai ha sviluppato «un occhio sempre più sharp, sempre più affilato» per non assuefare la vista. «Riesci a notare dettagli sottilissimi perché è un allenamento costante: in poco meno di un minuto decidi se una modella entrerà nelle proposte che farai al cliente. Per una sfilata la prima cosa che si guarda è che sappia camminare, una cosa non da poco. Significa non solo che tecnicamente sappia sfilare, ma che mentre sta camminando ‘incanti’».

Il discorso per certi versi si complica quando si parla di una campagna pubblicitaria, ossia quando occorre scegliere il volto che accompagnerà un brand di moda per una o più stagioni. «La modella è l’immagine che si trasmette al pubblico, l’immagine che comunica lo stile al consumatore finale. È un ruolo chiave, ma non dovrebbe mai essere più importante del marchio perché altrimenti rischia di cannibalizzarlo. Inoltre, occorre cercare di non entrare mai in conflitto con l’immagine precedente, bensì di andare avanti, evolvendola». Semplice a parole, non a fatti. «Mi capita spesso di avere clienti che hanno determinate necessità, e quando porto ciò che hanno chiesto si rendono conto di non volerlo. Ho imparato col tempo a dare loro quello che vogliono, ma anche quello che non pensano ancora di volere, provando a vedere se sono disposti a fare un passo avanti. Spesso i grossi marchi di moda tendono a essere conservativi, della serie ‘squadra che vince non si cambia’, però così rischiano di diventare vecchi in un secondo, di rimanere indietro. Un esempio su tutti è quando Karl Lagerfeld scelse Claudia Schiffer come modella per la Maison Chanel, lei che era decisamente troppo sexy. Ha osato e ha avuto ragione: la piccola giacca di tweed con la doppia C non è mai stata tanto desiderabile».

 

 

Anticipare: ecco l’asso nella manica di un qualsiasi casting director che si rispetti, ma non solo. «Il marketing tende a voler dare al pubblico ciò che si aspetta, e la lotta di chi scrive, di una fashion editor o di un casting director è proprio di dare al pubblico ciò che ancora non sa di desiderare. Le persone vanno incuriosite, stimolate, e un simile obiettivo si raggiunge soltanto scuotendole con qualcosa di inaspettato. È un discorso ascrivibile a ogni ambito creativo: nessuno vuole prendersi dei rischi, ma così alla fine si scontentano tutti. Lasciare la propria comfort zone è difficile, e il mio ruolo in tale contesto è faticosissimo: devo capire i bisogni delle varie figure coinvolte – fotografo, cliente, stylist – che spesso non coincidono affatto, e trovare il miglior compromesso possibile».

Per Vanessa Contini, la dote principale che occorre possedere per intraprendere la sua professione è la memoria, visiva e non solo, «perché devi ricordati i nomi, i cognomi e i volti di tutti i modelli che incontri nella tua vita». È un po’ come giocare al Memory, le faccio notare, e lei si trova d’accordo: senza vista e memoria non si va da nessuna parte. Ma ci vuole anche «parecchio istinto, oltre a ottime capacità diplomatiche di mediazione. Bisogna capire se e quando è il momento di insistere o di mollare il colpo e aspettare. Mi è capitato recentemente di aver proposto un modello per un anno di seguito, ricevendo solo dei rifiuti; l’altro giorno mi è arrivata una mail con un suo screenshot in cui il cliente mi implorava di prenderlo. Succede molto spesso, che dalle foto del book non lo si riesca a ‘vedere’, e in tal senso i social sono stati di aiuto. Infatti, quando si presenta un modello, oltre al link del book, le polaroid, quello di models.com, adesso si aggiunge anche il suo Instagram. Nella pratica si propone una rosa di circa 20 modelli, si screma arrivando a 10, dopodiché si riduce il numero a 5: è quello il momento più difficile, quando il casting director si ritrova col fotografo, lo stylist e il cliente a dover prendere insieme la decisione finale».

 

 

Mentre la nostra chiacchierata volge al termine, mi viene naturale chiederle quale sia il suo ‘casting dei sogni’. Lei replica senza esitazioni, quello di Prada. «È il casting che tutti attendiamo con curiosità, perché è forse uno dei pochi che riesce ancora a sorprendere. Non sai mai cosa aspettarti da quel casting, la sfilata di Prada non è una semplice sfilata, è racconto in movimento come accade da Chanel o Dior. La musica, l’allestimento, il casting, lo styling: nulla è lasciato al caso e tutto l’insieme concorre a narrare una storia. Quando un cliente sa osare, per un casting director è davvero il massimo. Anche perché le scelte comode o facili, di solito sono le più insidiose».

In un’epoca dominata dal tema dell’accessibilità della moda, Vanessa Contini va controcorrente e ritiene che questa non debba essere per forza per tutti, pena la perdita di desiderabilità. «Se non la desideri non compi poi il passo successivo e si perde la sua ragion d’essere. I brand di moda devono essere in grado di farti entrare in un mondo: non compriamo solo una gonna o un vestito, bensì il racconto dietro a quella gonna e a quel vestito. E nel momento stesso in cui l’indossiamo, diventiamo a nostra volta parte integrante di quel racconto».

 

Annuisco, e di riflesso ripenso a quelle montagne di Vogue sfogliati da bambina: no, non erano mai ‘solo’ vestiti e non erano mai ‘solo’ top model. Erano – e sono tuttora – una delle storie più affascinanti del nostro tempo.


Articolo: Marianna Tognini  Shooting fotografico: Lorenzo Morandi