Credo convintamente che le nostre radici, le nostre origini, non facciano di noi ciò che siamo diventati ora. Ciononostante, esse segnano in maniera indelebile il nostro percorso, lasciando un’impronta tangibile in quello che facciamo.
Valeria ha tenuto bene a mente le sue radici. Cresciuta in un borgo della campagna veneta ha avuto la fortuna di godere fin da subito della bontà del cibo genuino. Gli orti dei nonni sono stati per lei fonte inesauribile di frutta e verdura e l’hanno portata a “vedere il cibo” in funzione di ciò che ogni stagione sarebbe stata in grado di produrre.
«Credo convintamente che le nostre radici, le nostre origini, non faCCIANO di noi ciò che siamo diventati ora. Ciononostante esse segnano in maniera indelebile il nostro percorso, lasciando un’impronta tangibile in quello che facciamo».
Questo concetto di “stagionalità” la accompagna ancora e rappresenta una parte preponderante sia del suo modo di concepire il cibo, sia del suo stile di cucina.
Oggi, a diversi anni di distanza dalle stagioni passate ad apprezzare gli orti dei nonni, Valeria è un’affermata food writer e food photographer, collaboratrice freelance per diverse testate e siti specializzati. Ci racconta di lei da Sidney, ultima meta raggiunta dopo una lunga permanenza londinese.
Valeria, due diversi percorsi universitari alle tue spalle: una laurea in Lingue e Culture Straniere all’Università di Padova prima, un Master in Food Culture and Communications all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, poi. C’è qualcosa che accomuna le due esperienze o qual è stata l’intuizione che ti ha fatto cambiare direzione rispetto al tuo primo percorso di studi?
Sono sbarcata a Padova con in tasca una maturità linguistica e una passione smoderata per la letteratura inglese e americana. Quella di studiare lingue è stata forse la scelta meno ponderata che abbia mai preso, nel senso che ero davvero convinta che quella fosse la mia strada. Mi ci sono buttata ad occhi chiusi e a cuor leggero, tenendomi stretto il sogno di una carriera in traduzione letteraria. Alla fine, però, le cose non sono andate esattamente così. La letteratura straniera continuava a emozionarmi, ma nel frattempo era subentrato un interesse smisurato per l’indagine culturale e sociale, oltre che linguistica, applicata in particolare al cibo e al consumo alimentare. Il fatto che mi sia incaponita sul cibo invece che su, che so, la street art, è dovuto forse al mio essere cresciuta in un microcosmo familiare in cui il cibo ha sempre giocato un ruolo importante nello scandire il tempo e le relazioni; e dove ogni viaggio, in Italia o all’estero, diveniva un’occasione preziosa per scoprire un luogo anche attraverso l’offerta gastronomica locale.
Ad ogni modo, verso la fine della laurea triennale mi sono resa conto che non c’era più spazio per quel sogno letterario, e che le mie passioni mi stavano portando altrove.
Ho chiuso il percorso di studi con una tesi in cui il cibo era analizzato come elemento culturale e simbolico, e da lì ho iniziato a guardarmi intorno per capire in che modo potessi continuare su questa strada. Da un po’ di tempo stavo tenendo d’occhio l’Università di Scienze Gastronomiche.
Sicuramente ero tentata dall’idea di un corso di respiro internazionale con lezioni alternate ad esperienze di viaggio e stage pratici, ma per varie ragioni non mi entusiasmava la prospettiva di trasferirmi a Colorno, dove all’epoca si tenevano i Master. Il destino ha voluto che quell’anno i Master fossero spostati definitivamente nella sede centrale di Pollenzo, nelle Langhe, una regione di cui ero follemente innamorata.
Quello per me fu l’elemento decisivo. Feci domanda e iniziai a sperare di essere selezionata, senza avere nemmeno un piano B nel caso mi fosse andata male. Mi è andata bene, per fortuna, e tuttora posso dire che quello è stato senza dubbio l’anno che più mi ha forgiato non solo come ‘gastronoma’, ma soprattutto come persona. Comunicare il cibo come cultura rimane, ad oggi, quello di cui mi occupo e di cui vorrei continuare ad occuparmi negli anni a venire.
Il tuo blog ‘Life Love Food’ è da sempre accompagnato da bellissime fotografie che tu stessa hai cura di scattare. La food photography, però, è davvero molto difficile, come chiunque ha potuto sperimentare cercando di fotografare un piatto di cui si voleva conservare un ricordo. Qual è stato il tuo percorso di apprendimento?
All’inizio, prima ancora di aprire il blog, volevo semplicemente riuscire a scattare delle immagini che potessero completare le mie indagini gastronomico-culturali, e i miei viaggi alla scoperta delle ricchezze culinarie locali, foto di viaggio, insomma, belle abbastanza da poter avere un qualche valore almeno personale. Ho iniziato a scattare in modo molto amatoriale, con una DSLR che sapevo usare solo per metà. Mi sono poi iscritta a un corso organizzato dagli studenti dell’università di Padova, dove ho appreso i concetti base della fotografia. Per il resto, ho cercato di imparare dai miei errori, ma anche di guardarmi intorno e di studiare le immagini di cibo e viaggio che più mi colpivano, tentando di carpirne gli elementi costitutivi e di riprodurli a modo mio. Se vado a vedere le foto che ho scattato cinque anni fa, mi vengono i brividi – molte sono davvero pessime! Eppure sono certa che sarà lo stesso in futuro. È importante tenere quegli scatti come promemoria, come prova tangibile che c’è stato effettivamente un percorso in crescendo, sperando di continuare a migliorare negli anni a venire.
In mezzo a tutto questo, ho aperto il blog, Life Love Food, nel 2010, come diario di viaggio dell’anno trascorso a Pollenzo. Ho continuato a coltivarlo anche dopo; rimane in vita come diario e ricettario personale in cui condivido storie di vita quotidiana, esperienze, riflessioni e ricette collegate in qualche modo a quello che racconto. Le foto fanno da cornice, ma cerco di provare sempre qualcosa di nuovo e diverso e di sperimentare anche in quel campo. Il blog è, in questo senso, un’ottima palestra per mettersi alla prova e testare strade nuove, oltre che una vetrina per il proprio lavoro.
Tutti i tuoi scatti sono permeati da luminosità, nitidezza e un’intensità di colori che colpiscono immediatamente. Ci sono dei fotografi a cui ti ispiri?
Amo molto Ditte Isager, fotografa danese i cui scatti sono essenziali, molto nordici, senza troppi fronzoli o elementi di distrazione. In generale, preferisco foto di food che siano focalizzate sulla bellezza naturale del soggetto, senza styling eccessivi o troppo forzati. Mi piace anche lo stile di Michael Graydon, per lo stesso approccio ‘naturale’ nei confronti del piatto, ma anche per l’elemento di disordine che accomuna molti dei suoi scatti. Il cibo sembra un po’ buttato lì (naturalmente non lo è) e trovo che l’effetto sia spesso molto invitante. Nel mondo del food blogging ammiro molto il lavoro di Heidi Swanson: le foto che scatta sono ispirate, piene di luce, eleganti e molto naturali, in perfetta armonia con le sue ricette sane, originali ma sempre semplici e fattibili.
«Nel mondo del food blogging, ammiro molto il lavoro di Heidi Swanson: le foto che scatta sono ispirate, piene di luce, eleganti e molto naturali, in perfetta armonia con le sue ricette sane, originali ma sempre semplici e fattibili».
La pagina “Press and Features” del tuo blog contiene un lungo elenco di articoli e collaborazioni, tra le quali spicca quella con il Corriere della Sera, oltre ad articoli per la prestigiosa rivista tedesca “Die Zeit”. Come sono nati questi rapporti?
Molti sono nati proprio attraverso il blog. Nella maggior parte dei casi, succede che un editor noti i miei contenuti, magari condivisi sui vari social media, e che mi contatti per un’intervista o una collaborazione occasionale basata, spesso, sulla creazione di ricette accompagnate da foto. In altri casi, com’è successo per il Corriere, si è passati da una collaborazione saltuaria a una rubrica di cucina fissa. Al momento la mia rubrica è incentrata sugli stuzzichini e i cicchetti per l’aperitivo: un tema che, da buona veneta, mi sta molto a cuore!
Negli ultimi tre anni e mezzo hai vissuto a Londra, lavorando nel settore Food. Quali sono i momenti memorabili che hanno contribuito a farti crescere, sia professionalmente che personalmente?
Gli ultimi due anni sono stati forse i più belli e i più intensi. Oltre all’impegno del blog e delle varie collaborazioni freelance, ho lavorato full time come Communications Manager per un’azienda che importa prodotti ortofrutticoli da Italia, Spagna e Francia e li vende ad alcuni dei ristoranti più interessanti di Londra. Detta così non sembra granché, ma devo dire che è stata un’esperienza che da un lato mi ha aperto gli occhi rispetto al mondo della ristorazione nella capitale inglese, e dall’altro mi ha dato l’opportunità di viaggiare spesso e di conoscere delle realtà produttive davvero affascinanti, soprattutto in Italia, e di usare le mie competenze nel campo dello storytelling e della fotografia per raccontare le storie di produttori e prodotti a potenziali clienti, sia chef che privati, facendo uso dell’intera piattaforma di comunicazione aziendale, dal sito ai social media agli eventi. Ho lasciato questo lavoro un po’ a malincuore, così come ho lasciato Londra, ma ero comunque ansiosa di intraprendere una nuova avventura oltreoceano.
Dopo Londra, infatti, Sydney è diventata la tua nuova città. È la tua prima volta in Australia? Che aspettative avevi verso questo Paese?
La prima volta, sì. All’inizio l’idea era di rimanere per tre anni, mentre per ora la permanenza si è ridotta a sei mesi: tornerò in Italia a fine aprile. Dall’Australia mi aspettavo un Paese aperto, multietnico, rilassato, con uno stile di vita invidiabile. E Sydney è, da molti punti di vista, tutte queste cose e molto di più. La gente sembra tranquilla, mai trafelata, con molto tempo libero a disposizione, o comunque sufficiente a potersi godere hobby e piccoli piaceri quotidiani, che sia una surfata dopo il lavoro o una grigliata con gli amici in riva al mare. Il clima è meraviglioso: dovremmo essere ormai in autunno inoltrato, ma fa ancora abbastanza caldo da poter andare in spiaggia e farsi due bracciate.
Diciamo che, da questo punto di vista, mi sto prendendo una gran rivincita dopo anni di grigiore londinese. Quello che forse mi sta mancando è qualcosa di più profondo: in superficie qui è tutto fantastico e si vive benissimo, ma mi manca la vecchia Europa. Certo, sei mesi non sono sufficienti a conoscere davvero una città, figuriamoci un Paese. Avrei voluto viaggiare di più, ma alcuni impegni lavorativi me l’hanno impedito. Spero di poter tornare e di fare un road trip come si deve. C’è tanto da vedere, Sydney è solo una goccia nel mare.
«Quello che forse mi sta mancando del vecchio continente è qualcosa di più profondo: in superficie, qui è tutto fantastico e si vive benissimo, ma mi manca la vecchia Europa».
Il tuo profilo Instagram in continuo aggiornamento porta a pensare ad una tua inarrestabile voglia di sperimentare e di fotografare. C’è un progetto che vorresti portare a compimento il prima possibile?
Un grande sogno nel cassetto già si sta realizzando: quello di scrivere un libro. È il mio primo libro (speriamo primo di una serie!) e si tratta di un ricettario corredato da spaccati di vita vissuta in Veneto, la mia regione d’origine. Da un po’ di tempo covavo il desiderio di scrivere una sorta di memoir culinario, con storie personali legate alla mia famiglia e alla mia terra, e sono davvero felice di aver trovato un agente e un editore che hanno creduto fin da subito nella mia idea e in questo progetto, peraltro piuttosto ambizioso. Infatti, oltre a scrivere il libro e testare le ricette, mi sto anche prendendo cura del lato fotografico – food styling, fotografia, ambientazione ecc… – un lavoro da pazzi e una sfida personale che sta mettendo in discussione tutte le mie certezze e che mi sta impegnando full time, comprese le spese giornaliere al mercato e i lavaggi di piatti a ciclo continuo. È la ragione per cui tornerò in Italia alla fine del mese, per finire di scriverlo e fotografarlo in loco. Non vedo davvero l’ora.
Articolo: Marta Ferrero Contributi fotografici: Valeria Necchio