Teresa Turola: la magia del Circo-Teatro

Teresa Turola voleva fare l’attrice di prosa. Ora si esprime attraverso l’arte del Circo-Teatro. Scopriamo il suo percorso in questa intervista.

È una di quelle serate in cui ci si mette comodi sul divano, in un salotto accogliente e fitto di oggetti. Libri, fotografie, soprammobili. Mi trovo a casa di Teresa Turola, attrice dai lineamenti angelici e dallo sguardo vispo, che ne tradisce tutta la grinta. Una determinazione che le ha permesso di spaziare dal teatro di prosa tradizionale al teatro itinerante, dal musical al circo-teatro ottenendo importanti soddisfazioni artistiche e professionali, alla sola età di quasi ventisei anni. Questa volta non si tratta di recitare nessun ruolo, ma mettere in scena se stessa. Cosa a cui, sempre con il sorriso sulle labbra, non si sottrae.

Teresa, qual è stato il tuo percorso?

«Terminato il liceo sapevo di voler fare l’attrice e mi sono iscritta prima all’Accademia Campogalliani di Mantova, poi all’Accademia Galante Garrone di Bologna. All’Accademia di Bologna mi ero candidata per il teatro di prosa classico, ma durante l’audizione mi hanno chiesto di danzare e – dopo aver visto come mi muovevo – mi hanno suggerito di intraprendere il percorso di Circo-Teatro. Io non sapevo nulla di circo, era un mondo che non conoscevo. Ma ho scelto di buttarmi, di provarci fino in fondo, perché ero convinta che sarebbe stato un mezzo espressivo in più».

Teresa Turola: «I primi tre mesi sono stati un inferno. Il primo giorno ho iniziato con uno stage di trapezio. Non sapevo nemmeno come fosse fatto, soffrivo di vertigini, volevo fare solo l’attrice di prosa».

«Così ho trascorso due anni a Bologna coniugando il teatro di prosa tradizionale con l’acrobatica aerea. Ci insegnavano a recitare sugli attrezzi, nastri e trapezi, a terra (anche danzando) e senza voce attraverso il mimo. Ho imparato a esprimermi e a comunicare con il corpo, cosa che – devo dire – ora sfrutto tantissimo. E pensare che fino a sei anni fa non avrei mai immaginato di coniugare le due cose».

Hai incontrato difficoltà fisiche?

«I primi tre mesi sono stati un inferno. Il primo giorno ho iniziato con uno stage di trapezio. Non sapevo nemmeno come fosse fatto, soffrivo di vertigini, volevo fare solo l’attrice di prosa.

I primi tempi tornavo a casa piangendo con le mani doloranti. I miei genitori, per rassicurarmi, mi ripetevano che avrei potuto cambiare il mio percorso in ogni momento, ma io sono sempre stata molto testarda e ho voluto andare fino in fondo. Quando ho iniziato ad abbandonare tutte le mie paure mi sono accorta finalmente del potenziale: questa disciplina mi ha permesso di evolvermi in maniera incredibile, facendomi scoprire il mio corpo e liberandomi della gabbia mentale che mi stavo costruendo».

E poi?

«Francamente avevo l’impressione di non aver sviluppato abbastanza la voce in quei due anni di formazione bolognese, quindi ho scelto di fare altri due anni a Bologna all’Accademia Nazionale del Cinema studiando doppiaggio, per imparare a padroneggiare tutte le mie capacità e potenzialità vocali. Mi ha permesso di sentirmi più completa e durante questa esperienza ho aperto la mia attività di Circo-Teatro ad Ostiglia, continuando a lavorare anche nella compagnia di Teatro di Mantova».

Teresa Turola: «Quando ho iniziato ad abbandonare tutte le mie paure mi sono accorta finalmente del potenziale: questa disciplina mi ha permesso di evolvermi in maniera incredibile, facendomi scoprire il mio corpo e liberandomi della gabbia mentale che mi stavo costruendo».

La combinazione tra teatro e acrobatica non snatura la recitazione stessa?

«A me piace da impazzire quello che faccio e trovo che questa contaminazione sia un qualcosa in più. Circo, acrobatica, musica, voce, canto sono tutti aspetti della stessa arte teatrale. Credo che dal momento in cui si scelga di usare il corpo come mezzo di espressione si faccia teatro».

Agli inizi quali sono state le figure di riferimento per quest’arte?

«Come già detto, inizialmente del circo non sapevo nulla. Dopo l’iniziale buio e rifiuto totale verso la disciplina, ho iniziato a seguire il Cirque du Soleil che, con i suoi ballerini e acrobati, è la compagnia più grande al mondo di Circo-Teatro. Fanno numeri incredibili, raccontano storie solo attraverso la gestualità. Ho guardato tutti i loro spettacoli, anche dal vivo e mi hanno scatenato la voglia di andare oltre il mio blocco iniziale.

Mi hanno portato a capire che stavo snobbando quest’arte e grazie a loro, invece, ne ho capito la bellezza. Avrei volentieri fatto l’audizione per il Cirque, ma sono troppo vecchia! Il limite di età per gli acrobati è di 14 o 15 anni: li devono crescere loro».

Esiste qualcosa di simile al Cirque du Soleil nel panorama italiano?

«Ci sono i Kataklò a Milano. Sono i migliori senza dubbio, ma non sono totalmente italiani perché hanno una forte componente internazionale. In effetti, non ci sono ancora compagnie completamente italiane, se non quella che aprirò io tra qualche anno».

Quindi reciti e danzi. Canti anche?

«Si! Fin da bambina, per passione. Poi ho iniziato a frequentare lezioni di canto da musical e fino allo scorso giugno prendevo lezioni di canto private da Francesco Antiniani, titolare anche del corso di musical alla scuola di teatro di Mantova. Così, nel dicembre 2015 siamo andati in scena con un musical dal titolo Into the woods in cui vestivo i panni di Cappuccetto Rosso. Saltellavo, recitavo e cantavo!».

Il musical, in effetti, sembra il trionfo della contaminazione tra arti.

«Sì, è completo. Ho scelto di proporlo anche alle mie allieve qui ad Ostiglia. Come anticipavo, io lavoro in una palestra, ma essendo di base un’attrice, ho scelto di dare un indirizzo che non va verso il fitness ma verso il Circo-Teatro.

Ora stiamo lavorando ad uno spettacolo composto da vari brani di famosi musical, e voglio che le mie ragazze recitino a terra e su attrezzi, danzino e cantino. Voglio che sfruttino tutte le loro doti per fare qualcosa di diverso! Il corso prevede un riscaldamento basato sull’improvvisazione teatrale e il resto è dedicato all’acrobatica aerea. Il teatro nelle mie lezioni non manca mai: serve a sciogliersi e a cementare il gruppo».

Nel senso che permette di star meglio con gli altri?

«Sì, perché è importante per rompere le barriere e far calare la propria maschera. Il teatro unisce le persone e le scopre: ti rende nudo, tira via gli strati che ci coprono e ci nascondono, e così ci si scopre agli altri e a se stessi. Lavorando sulle emozioni, ad esempio, le mie ragazze si sono accorte di quanto sia difficile e “imbarazzante” mostrare i propri stati emozionali agli altri. La società li presenta come ostacoli, come qualcosa di cui vergognarsi».

Quali sono i tuoi primi ricordi nel mondo del teatro?

«Probabilmente la prima volta in cui ho detto “mamma io voglio fare l’attrice”, quando avevo sei anni. Ero in prima elementare e dovevamo fare Il mago di Oz in inglese.

 È stato il mio primo spettacolo teatrale a tutti gli effetti e mi avevano dato il ruolo della strega dell’Ovest. L’ho fatto con un gusto, con un impegno tale, che davvero ci ho messo l’anima e tutto il mio cuore. E dopo quello spettacolo ho capito quale fosse la mia passione, non ho mai cambiato idea. In terza media premevo per andarmene da Mantova per seguire il teatro e, invece, mia madre mi diceva sempre “aspetta, aspetta: fai il liceo!”. Così ho fatto, ma nel frattempo ho sempre frequentato corsi di teatro, ogni anno, perché senza il teatro stavo male. Alla fine ho seguito la mia strada e tuttora sono assolutamente convinta di cosa sto facendo».

Nessun dubbio, dunque, sulla professione?

«No, per nulla. Oggi non vale più la regola dell’artista squattrinato che non sopravvive. Siamo tutti nella stessa condizione».

Non trovi, quindi, che il teatro risenta della concorrenza del cinema?

«No, perché il teatro non è sostituibile e non è mai uguale a se stesso. Qui sta la sua potenza. In più, l’emozione degli attori così vicini non è paragonabile alle vibrazioni di uno schermo cinematografico. La fisicità reale così ravvicinata, propria in particolare del teatro itinerante, emoziona. E ti assicuro che le persone sono alla ricerca di emozioni concrete, dirette, non mediate.

Si cerca un coinvolgimento, un contatto con l’attore, e al cinema non è possibile. Forse per questo, purtroppo, le sale cinematografiche tendono a essere sempre più vuote. Questo discorso, per il teatro, non si può fare».

Credi che il teatro abbia bisogno di rinnovarsi e, in caso, con che forma?

«Certamente, ma è un discorso estremamente complesso. Ritengo stagnante la tendenza degli ultimi anni a recuperare dei classici e a volerli obbligatoriamente modernizzare, piegando l’opera all’epoca contemporanea: una tendenza che per me deve essere superata. Prendiamo Le Baccanti di Euripide: in uno spettacolo l’abbiamo proposto per come è, senza snaturane la potenza.

Paradossalmente, il rinnovamento passa attraverso i testi per come sono nella loro purezza originale superando il pregiudizio che possa funzionare solo ciò che è contemporaneo. Una buona linea sperimentale, mi pare, è quella del teatro itinerante. È uno stile molto diffuso negli Stati Uniti e va di moda da due o tre anni: ha l’obiettivo di portare il teatro fuori dal palcoscenico, inglobando il pubblico. Queste sperimentazioni andrebbero estese anche ai grandi teatri, dove invece si tende a proporre solo commedie divertenti e divertite. La scorsa estate ho lavorato in uno spettacolo dedicato a Shakespeare. Il pubblico, fin dal principio, veniva avvicinato dai personaggi e nel finale facevamo ballare il pubblico stesso infrangendo ogni regola tradizionale. Ma il bello del teatro è che non esistono vere regole. Sì, credo che la strada da percorrere sia quella del teatro sperimentale, un teatro che crea un contatto forte tra spettacolo e pubblico».

Hai incontrato difficoltà nel formarti come attrice?

«Ne ho incontrate diverse. La mia è una fisicità particolare: sono magra, piccola di statura e con lineamenti “fanciulleschi”. Mi hanno sempre dato il ruolo della bambina, dell’ingenua, della buona e quando sono uscita da quella costruzione mi sono imbattuta in una grande difficoltà. A livello fisico ho sempre avuto un’espressività esplicita e uno degli scogli più grandi è stato proprio il dovermi “contenere”. Ad esempio, recitando nei panni di Giulietta, che rappresenta la purezza, ho trovato con difficoltà l’equilibrio giusto a livello espressivo tra la mia indole e quella richiesta dal personaggio.

Oggi, invece, mi sento a mio agio in ogni ruolo: dalla donna ingenua, alla femme fatale, alla pazza. Ho trovato un’armonia nel giocare con le emozioni e con i personaggi e faccio fatica quasi a ricordare le difficoltà degli inizi. 
Da osservatrice esterna mi permetterei di affermare che la vita di un attore debba essere emotivamente intensa, anche solo per capire fino in fondo le emozioni: ogni esperienza emotiva è preziosa per il mio mestiere e va trattenuta. Penso, poi, che il percorso del teatro implichi una certa sensibilità. Le persone insensibili non esistono, ma quelle che si lasciano scivolare le cose addosso è difficile che diventino attori convincenti. Comunque, tenersi dentro le emozioni negative  non è facile da gestire, me ne rendo conto».

Teresa Turola: «Oggi mi sento a mio agio in ogni ruolo in realtà: dalla donna ingenua, alla femme fatale, alla pazza. Ho trovato un’armonia nel giocare con le emozioni e con i personaggi e Faccio fatica a ricordare le difficoltà degli inizi».

Hai mai pensato di lasciare Ostiglia, il tuo paese?

«Sì, diverse volte. Vorrei andare a Parigi, che è la patria del Circo-Teatro. Lì regna sovrana la scuola di Jacque le Coque, metodo che ho studiato alla Garrone».

Hai qualche altro progetto artistico nel cassetto oltre a quelli già sperimentati?

«La mia maggiore ambizione, per ora, è il progetto che sto portando avanti con le mie ragazze, fondendo danza, acrobatica, canto e recitazione. Non sarà facile, ma è splendido.

Non posso spaziare in altri campi perché sono fin troppi, per adesso. Magari tra dieci anni includerò la pittura! E potrei farlo per davvero perché mi è sempre piaciuto disegnare [ride, ndr]. Per ora meglio non pensarci anche se esistono già spettacoli di “danza-pittorica”. La bellezza dell’arte sta nell’assenza di limiti, ma per adesso io me ne pongo. 

Conosco la mia difficoltà a trattenermi perché mi entusiasmo facilmente, ma devo limitarmi per non correre il rischio di essere poi mediocre nel voler fare tutto. L’arte e la danza creano un connubio splendido e forse, tra qualche tempo riuscirò a realizzare questo progetto, ma non voglio mettermi altre idee in testa per il momento, altrimenti non mi ferma più nessuno».

Articolo: Martina Dal Cengio Shooting fotografico: Stefano Tambalo

 

 

 

 

Martina Dal Cengio

Contributor - Writer

Guarda il mondo con i suoi occhi curiosi. Nel frattempo, sorridendo, coltiva i suoi interessi che spesso la portano ad ascoltare storie di vita. Le più coinvolgenti le racconta.