Takashi Nakazato, Ceramista: Arigato Sensei!

Takashi Nakazato è uno dei ceramisti giapponesi contemporanei più celebrati in tutto il mondo. Tutti lo chiamano Sensei, che in giapponese vuol dire Maestro in senso molto più spirituale che fisico.

La sua fama mondiale mi crea non poche difficoltà nell’approccio, ma poco dopo la sua bontà di animo riesce a sciogliere ogni tipo di tensione.

 

I suoi 82 anni trasmettono saggezza, le mani segnate dal suo mestiere ricordano in certi versi le mie, i suoi sorrisi e il suo modo rispettoso di approcciarsi alle persone lo rendono di una dolcezza unica.

Ci abbiamo messo un po’ ad entrare l’uno nel mondo dell’altro, ma neanche tanto se si considerano tutte le diversità che abbiamo: età, provenienza geografica, cultura, lingua, costumi. La cucina talvolta permette di comunicare anche nelle lingue più lontane.

Appena gli parlo dell’evento vedo un lampo di luce solcare il suo sguardo: BOOM! Gli parlo dell’idea di preparare due piatti, qualunque cosa egli voglia. Un sorriso spontaneo solca una crepa profonda sul suo volto.
È felice.
Io sono felice.
La compagna, Fumiko, un po’ meno, perché si preoccupa per lo sforzo che il suo uomo dovrà affrontare, sia fisico che psicologico.
Cerco di tranquillizzarla subito facendogli capire che qui, all’Officina dei Sapori, siamo una ciurma, nessuno rimane indietro e dove si presentano difficoltà si risolvono, tutti insieme.


Takashi Nakazato non sta nella pelle, è eccitatissimo: non ha mai cucinato per così tante persone! Così lo invito a entrare in cucina, nella mia cucina. I 45 gradi umidi non sono sicuramente un rassicurante biglietto da visita, ma lui è felice.
Io sono felice, Fumiko un po’ meno.

Dopo una veloce chiacchierata su alcune idee ci diamo appuntamento qualche giorno dopo per andare a comprare il pesce e fare delle prove. È fatta, ormai anche lui sa di esserci dentro fino al collo!

Ci rechiamo la mattina presto al mercato del pesce, tutti insieme. Mentre giriamo tra i banchetti socializzo con Fumiko, cerco di rasserenarla con il mio inglese arrugginito. Intanto Takashi sta già fantasticando su quali pesci prendere: non si allontana neanche un secondo dal banco, lo fissa intensamente. 

 

 

Fumiko timidamente mi confessa: «meglio che non mi senta, ma lui ama più i pesci che la sua ceramica». Questa frase è una bomba a orologeria che esplode dentro, picchiando forte come un cazzotto di Tyson nello stomaco. Un uomo apprezzato in tutto il mondo per il suo mestiere di ceramista che dedica gran parte delle sue giornate a fare ciò che più ama: cucinare il pesce. E si vede!
Mi avvicino a lui e iniziano le idee sui piatti da preparare. Il commesso sicuramente ci odia: siamo stati delle ore a visionare ogni tipologia di pesce, mollusco e crostaceo, discutendo su cotture e marinature. Mi sembra di essere in una bolla dove il mondo esterno non esiste.
Lui è felice. Io sono felice. Fumiko inizia ad esserlo un po’ anche lei.

Carichiamo il pesce in auto e scappiamo, direzione cucina. È proprio lì che avviene la magia. Takashi mi chiede dove può mettersi a lavorare: gli do tutto l’occorrente.
Si fermano gli orologi.
Inizia a sezionare il pesce con la sua grandissima tecnica e ne separa chirurgicamente ogni pezzo: interiore, testa, sottogola, filetti. Una precisione e una pulizia viste raramente.

Mentre si destreggia col suo coltello giapponese, noi tutti in cucina restiamo immobili; proprio noi che viviamo ogni giorno immersi nei nostri pescioni. Takashi Nakazato è ipnotico, magnetico, una melodia silenziosa.
Ogni suo movimento è lento ma preciso, non dice una parola, non alza mai gli occhi dal tagliere e cronometra ogni processo.

In cucina si sentono profumi deliziosi di oriente: soia, aceto di riso, sakè, shichimi togarashi, yuzu, tutto delicatissimo e piacevolissimo.

 

La sua tecnica di sfilettamento è opposta alla nostra: noi partiamo dalla pancia per poi proseguire sulla schiena del pesce e infine tutto il resto, staccando dapprima i filetti e poi sezionando le parti dell’animale; lui invece si occupa prima delle interiora, poi decapita il pesce e infine pensa ai filetti.

Osservarlo è una delle cose più belle che mi siano mai capitate in questi ormai vent’anni di cucina. Dopo poche ore la sua postazione è pulita, il pesce è sezionato e trattato per i successivi passaggi.


Le preparazioni devono riposare almeno 12 ore prima di proseguire, quindi se ne va a riposare un po’.

Il giorno seguente lo dedichiamo alla prova dei piatti. Mi avvicino a lui e gli chiedo se posso aiutarlo a spinare il pesce. Mi sorride, accenna un piccolo inchino con la testa e iniziamo a lavorare spalla a spalla.
Intanto arriva Fumiko e ci osserva. Osserva tutta la cucina che si muove verso Takachi, non perché lui lo richieda ma per il grande rispetto che noi tutti nutriamo verso questo meraviglioso artista.

Dopo un paio d’ore di preparazione, ultimiamo i dettagli e ci sediamo a tavola per assaggiare i piatti che prepareremo durante la serata. Considerazioni, idee, aggiustamenti.
Qualche bicchiere di vino smorza ancor di più gli animi e il maestro Takashi Nakazato è sicuramente più sereno e rilassato, nonostante la fatica.
Lui è felice. Io sono felice. Ora anche Fumiko è felice.
Mi confessa: «ora ho visto che siete una famiglia, sono più tranquilla. Siamo spesso in America e voi italiani siete completamente differenti: la vostra ospitalità ci ha riempito il cuore».
Tutto bellissimo, da pelle d’oca. La prova dei piatti che doveva durare un’ora ci ha visto impegnati a tavola a discutere e a bere vino per almeno tre ore.
La magia della cucina, ve lo dicevo.

«Oh oh Fabio! It’s sooooo big!!!». Takashi Nakazato

La famiglia Nakazato che, attualmente, risulta essere la più eminente famiglia di vasai di Karatsu, vanta una stirpe ininterrotta di maestri ceramisti che si estende per un periodo di circa trecento anni. Non so se tra questi si nascondesse anche qualche chef professionista. Di sicuro so che il Sensei Takashi Nakazato è un uomo di mare. Ed è anche per questo che io adoro perdermi nelle sue profondità, nei suoi abissi e nelle sue maree.
Riconosco la salsedine e mi sento a casa, nonostante i 9500 km che ci separano.

Sabato sarà un evento magico, ne sono certo. E noi siamo felici.
Tutti.

Dopo la prima settimana di “rodaggio” dove ci siamo studiati e compresi, è arrivato finalmente il venerdì, il giorno delle preparazioni.
Entrambi i piatti del Sensei prevedono una serie di processi precisi, rigidi, scanditi da tagli netti, trattamenti col sale e tempistiche. Il coltello. Il sale. Il cronometro.
Sono i tre elementi che hanno segnato le ultime quarantotto ore, dalla preparazione all’impiattamento.

Intanto, il giorno precedente trascorro quasi tutta la giornata al telefono con il mio fornitore per trovare i pesci giusti, per Takashi; ha affidato a me questa grandissima responsabilità.
Gli prendo un’ombrina pescata da 15 kg, tre bellissime gallinelle da 3 kg l’una e 3 seppie nere da 1 kg l’una.
Ovviamente è una sorpresa; lui si aspettava un paio di pesci da un paio di kg l’uno.
La mattina del venerdì ci vediamo presto: il Sensei si è del tutto ambientato tanto da farmi compagnia nella tripla dose di caffè espresso mattutina. Una delle tante cose che ho apprezzato è il suo voler “vivere” le nostre giornate tipo, resettando e annullando le sue abitudini.

«Chiedi a Fabio, lui lo sa come vanno fatti i peperoncini verdi». Takashi Nakazato

Improvvisamente, verso le 9:30, arriva il peschereccio.
Non dimenticherò mai gli occhi di Takashi, mentre gli sfilavano davanti pesci lunghissimi.
«Oh oh Fabio! It’s sooooo big!!!». Grandissime e lunghissime risate. Prima, durante e dopo, per tutta la giornata.

Si mette in punta di piedi (l’ombrina sdraiata gli arrivava comunque quasi al collo) e inizia il suo lavoro, lento e meticoloso.
Alzerà la prima volta lo sguardo dal tagliere verso le 14:00, solo per dire «oooohhh it’s beautiful …».
I suoi occhi ridevano. Noi in cucina ridevamo. È tutto elettromagnetico, come attraversato da una scossa, e non tanto per la sua straordinaria tecnica ma quanto per la sua serenità, capace di equilibrare ogni cosa intorno a lui.

Finalmente arriva il sabato, il giorno tanto atteso.
Per me, sinceramente, il giorno più brutto tra i tanti, nonostante la mia grandissima felicità di condividere le preparazioni coi miei clienti. Ma è anche l’ultimo giorno, quello dei saluti, degli arrivederci a chissà quando.
Dalle 17:30 alle 19:30 il Sensei non molla un attimo la sua lunga katana: sashimi, tranci, porzioni. La lama è infuocata.
La fotografa gli chiede di rallentare i movimenti, che pur molto lenti sono netti. Lui la ignora. Allora la fotografa chiede a me di dirglielo. E lui, sorridendo, rallenta un po’.

Dei tantissimi episodi vissuti ce n’è è uno in particolare che forse può riassumere chi è il grande Takashi: Nicolò, il mio assistente, si avvicina a lui e gli chiede come volesse la cottura dei peperoncini verdi. Lui lo guarda e gli dice «chiedi a Fabio, lui lo sa come vanno fatti».
Quale altro cuoco avrebbe risposto in questo modo? Non saprei. Ma l’umiltà di questo uomo mi spiazza sempre.

Ho vissuto due settimane magiche, dove la parola d’ordine è stata “rispetto”. Verso il pesce, verso il mare, verso le materie prime, verso i miei clienti. Ma soprattutto tra di noi, con grandissima umanità e affetto.

A fine cena ci siamo abbracciati, come due vecchi amici di sempre. Lui, ultra ottantenne, piccolino di statura, artista di fama mondiale, è entrato appieno nella mia cucina, ma soprattutto nel mio mondo, fatto di caffeina, alcol, scherzi, rituali, incazzature, lanci di cellulare, risate e rispetto verso il pesce.
Io, trentaquattrenne, pesante, stressato, asociale, problematico, troppo diretto, ansioso, iperattivo e scorbutico, sono entrato nel suo mondo fatto di ceramiche, mani grosse ma leggere, occhi che sorridono, sake, cronometri, semplicità, espresso alla napoletana, sale e tagli lenti ma netti.

Siamo entrati entrambi nelle rispettive tempeste. Ed entrambi ne siamo usciti diversi, ricchi, spero migliori.

Grazie Sensei.
Arigato.

Spero di poterti riabbracciare presto

 


Articolo: Fabio Tammaro   Shooting fotografico: Martina Padovan