Per i suoi 60 anni Barbie celebra le grandi donne e la chef Rosanna Marziale ha ottenuto l’omaggio della celeberrima bambola per essere modello d’ispirazione per le bambine. L’abbiamo incontrata per farci raccontare la sua storia.
Una vita attorno al tavolo di una cucina, di quelle da cui escono centinaia di piatti a servizio. Un tempo scandito dalla frenesia dei grandi banchetti, ad assorbire come una spugna quell’impostazione al lavoro così rigorosa e dedita alle grandi fatiche necessaria per permettere anche agli ingranaggi più complessi di danzare in sincrono. Un ristorante di famiglia da dover gestire, dopo la prematura scomparsa del padre, quando è poco più che una ragazzina. La Caserta degli anni ’90 dev’essere stata un territorio complicato per una giovane cuoca che intende riaffermare un’identità gastronomica, e magari riscriverla. Nello sguardo sicuro, nella voce e nei gesti pacati di Rosanna Marziale scorgo quegli anni bellissimi e frenetici, anche feroci. Un samurai che, armato di cannello e mozzarella rimozzata, sta scrivendo pagine inedite della cucina casertana e oggi siede tra i grandi interpreti della nuova cucina italiana.
Chef patron di due ristoranti, Le Colonne, storica proprietà di famiglia nel casertano e San Bartolomeo Casa in Campagna, Rosanna Marziale è ambasciatrice nel mondo della mozzarella di bufala campana DOP, volto tv e «per essere tra quelle donne in grado di ispirare le ragazze di tutto il mondo» anche volto di una Barbie. L’abbiamo raggiunta per farci raccontare questo lungo viaggio.
Bentrovata Rosanna. Mentre leggevo la sua bio mi sono imbattuta in una frase che mi ha colpita, mi riferisco alla descrizione che fa di sé. Parla della “popolazione” che la abita, delle molte identità che la caratterizzano. Sembra affollato lì dentro…
«Beh, vale un po’ per tutti, a mio avviso. Siamo l’insieme di quella moltitudine che compone la nostra identità. Sono anche un contadino, un mangiatore sensuale, un fornaio, un pescatore, un pastore, un mastro casaro… Chi è appassionato di cucina e vive la ristorazione da una vita, si sente addosso un po’ tutti questi mestieri come se fossero parte integrante dell’attività, e di fatto lo sono».
E in questa popolazione cita anche la “bambina che si costruisce il suo catalogo di sapori”. Mi incuriosiscono le madeleine olfattive che ci portiamo dentro, sarà forse per deformazione professionale. Mi chiedevo quali fossero quelle della Rosanna bambina: c’è qualche odore che la riporta a quegli anni e che è diventato magari un tema ricorrente nei suoi piatti?
«Più di uno. Il pomodoro non mi stancherò mai di sentirlo e di inserirlo in ogni menù del ristorante. Ma anche i sentori di sfoglia in cottura e l’infornata dei casatielli sono una macchina del tempo e cerco sempre di proporli sia nei menu per turisti, sia tra le proposte del menù stellato. Le Colonne, e da ormai vent’anni anche San Bartolomeo Casa In Campagna, sono molto grandi e si prestano a diversi tipi di ristorazione. Non abbiamo voluto abbandonare le proposte turistiche, i banchetti e le cerimonie, perché fanno parte della nostra storia ristorativa. Se ne occupava mio padre e per noi rappresentano qualcosa di importante».
«Sono anche un contadino, un mangiatore sensuale, un fornaio, un pescatore, un pastore, un mastro casaro». Rosanna Marziale
E di storia nel vostro modo di fare ristorazione immagino ce ne sia parecchia. Qual è il suo rapporto con la tradizione campana? E qual è il rapporto che i suoi clienti hanno con la sua idea di tradizione? Voglio dire, la sua “Pizza al contrario”, la “Mozzarella ripiena di riso e pomodoro”, sono interpretazioni ardite di sacralità della tradizione. Immagino un campano doc al cospetto di alcuni piatti e non posso non chiederle se ricorda qualche aneddoto curioso legato ai primi approcci dei clienti con la sua cucina.
«In realtà oggi è tutto molto più facile, lo scenario di questi ultimi anni ha puntato i riflettori sulla ristorazione e raccontare la nuova cucina italiana è più semplice, i clienti mostrano curiosità. Ma qualche anno fa, quando Caserta era un brutto riflesso di Napoli – che non considerava la propria tradizione contadina ma copiava piatti napoletani – si era un po’ perso l’orientamento. Abbiamo fatto un grande lavoro per ridare identità alla cucina casertana e lo abbiamo fatto iniziando proprio dalla mozzarella di bufala campana DOP. Mettere al centro del mio pensiero gastronomico questo grande prodotto è stato un modo per lanciare un segnale forte di identità territoriale. Ma Caserta non è solo mozzarella, abbiamo la carne di bufalo, il maialino nero casertano, anche la pasta di Gragnano la sentiamo molto nostra. Questi sono i prodotti da cui sono partita per dare forma alla mia idea di cucina».
«Abbiamo fatto un grande lavoro per ridare identità alla cucina casertana e lo abbiamo fatto iniziando proprio dalla mozzarella di bufala campana DOP». Rosanna Marziale
«E sì, ci siamo inventati dei piatti che non esistevano, avevamo ottimi prodotti ma non le tecniche per trasformali in qualcosa di inedito. E in questo percorso mi sono concentrata parecchio sul concetto di consistenza. Mi interessava dare un aspetto invitante ai piatti, ma soprattutto avvicinarmi a quel “morso” che richiamasse in qualche modo la tradizione, il nostro modo di godere a tavola. E quello per noi passa necessariamente attraverso il concetto di masticazione».
Non siete tipi da “spume” insomma.
«Per niente. Mi sono concentrata sulle consistenze ma anche sulle porzioni. Nei nostri menu degustazione non ci sono moltissime portate, perché le nostre porzioni sono importanti. A me non interessa che i clienti assaggino 12 piatti e magari non ne ricordino nemmeno uno, preferisco essere più incisiva anche sulle quantità, perché è il nostro linguaggio, il nostro approccio alla tavola e al cibo. Io per prima amo mangiare in questo modo, va da sé che cerco di perseguire la stessa filosofia anche nei miei ristoranti. Questo è stato una sorta di passe-partout per i miei clienti».
Nel suo percorso ci sono state un paio di esperienze formative importanti. Che cosa le ha lasciato quella con Gianfranco Vissani?
«È stato un vero pioniere della cucina e degli abbinamenti. Ho mangiato spesso da lui (e da molti altri) prima di richiedere lo stage, e mi ero fatta l’idea che il suo modo di fare ristorazione fosse molto vicino a come lo intendevo io. Ero incuriosita dagli aspetti organizzativi, del resto le nostre cucine e i rispettivi territori sono molto diversi, ma gli aspetti gestionali erano affini ai miei. In tempi non sospetti è stato davvero un numero uno, pensi che quando ho fatto lo stage lì – e stiamo parlando di molti anni fa – lui faceva fare alla sorella che lavorava in pasticceria la pizza margherita cotta nel forno elettrico. Posso assicurare con risultati di tutto rispetto. E così, a fine pasto, faceva arrivare al tavolo questa pizza fumante. Lui le spegneva così le persone e non certo perché la sua cucina fosse inconsistente o non incisiva, tutt’altro. Aveva percepito questa nuova era della pizza che sarebbe esplosa di lì a poco. Credo nemmeno lui se ne ricordi, ma io sì, l’ho vissuta in diretta».
Poi è volata da Martin Berasategui, uno degli interpreti della nueva cocina española, punta di diamante della ristorazione stellata spagnola.
«Sì, anche in quel caso ho scelto di fare uno stage da Martin più per il temperamento e l’impostazione della cucina che per la filosofia nel piatto. Martin e Gianfranco sono diversissimi, ma sono entrambi potenze energetiche. Le tecniche di cucina non sono mai state il mio focus, ero interessata piuttosto al lato umano, agli aspetti gestionali e organizzativi. Devo dire che in questo entrambe le esperienze sono state preziose, nonostante venissi comunque da un background famigliare abituato a macinare numeri importanti. Gestire nello stesso giorno tre matrimoni in casa e due in esterna non era così raro. Il giorno in cui è venuto a mancare mio padre avevamo trenta comunioni al ristorante e un matrimonio, più due matrimoni in esterna. Oggi abbiamo ridotto molto il carico di lavoro, abbiamo già dato (ride, ndr). È cambiato molto anche il modo di fare ristorazione».
Come descriverebbe l’esperienza come ospite a Masterchef?
«In una parola? Esplosiva. Avevo già utilizzato la tecnica del rimozzare la mozzarella nel 2003 (uno dei piatti che l’hanno consacrata al grande pubblico, presentato proprio durante la puntata che la vede protagonista, in cui la mozzarella viene scaldata al microonde e appunto, “rimozzata”, ndr), qualcuno se n’era accorto ma l’eco mediatica dopo quella ospitata nel programma è stata notevole. Sono rimasta piacevolmente colpita».
Sui progetti in cantiere Rosanna Marziale mantiene, da buona campana, uno scaramantico riserbo. Testimonial Bosch e volto Mattel, nel presente è impegnata nella gestione dei due ristoranti di famiglia, supportata dalla madre, dal fratello Loreto che con lei gestisce la parte ristorativa e dalla sorella Maria che si occupa degli aspetti amministrativi. Quel «non sono da sola» riferito ai suoi cari a fine chiacchierata mi è sembrato l’ingrediente segreto, quello che non trovi mai in un ricettario, ma spesso fa tutta la differenza del mondo per cucinare storie di successo come la sua.
Articolo: Stefania Pompele Shooting fotografico: Giuseppe Ippolito