Marta Ferrero, Sommelier & Account Manager at “Decanter”, home & district, Greenwich, London, U.K.

Marta Ferrero

Londra come nuova frontiera dei sogni dei giovani italiani. O quantomeno per i 250.000 connazionali che oggi vi risiedono. Per ognuno di loro ci sarebbe una storia che varrebbe la pena poter raccontare.

Oggi vogliamo parlare di Marta e delle sue scelte: quella di lasciare un posto di lavoro sicuro in Italia e quella di stabilirsi nel borgo reale londinese di Greenwich.

Marta Ferrero, professionista del wine business, costituisce l’esempio di come passione, volontà e curiosità verso il futuro siano le molle capaci di muovere corpo e anima da luoghi e lavori sicuri verso orizzonti sconosciuti.

Una carriera universitaria iniziata con l’iscrizione a Storia dell’Arte a Torino. Una decisione presa perché, usando le tue parole, «non sapendo cosa scegliere, ho deciso di circondarmi di bellezza». Successivamente approdi come bibliotecaria all’Università di Scienze Gastronomiche di Slow Food a Pollenzo, ospitata all’interno di una maestosa tenuta appartenuta un tempo a casa Savoia. È esagerato dire che hai proseguito a “circondarti di bellezza”?

No, affatto. È interessante che tu mi abbia posto questa domanda perché, in tutte le mie esperienze lavorative, una delle costanti è stata il fatto di essere circondata sempre da un ambiente architettonico straordinario. Non credo sia un fatto casuale, ho sempre prestato molto attenzione al contesto in cui avrei trascorso la maggior parte delle mie giornate. Sicuramente il mio percorso universitario ha amplificato la mia sensibilità nella ricerca di un equilibrio estetico nella vita di tutti i giorni, lavorativa e personale. Il complesso architettonico di Pollenzo è stata eletto Patrimonio Mondiale dell’Unesco nel 1997. La tenuta reale è un esempio di urbanistica ottocentesca in stile neogotico, ma l’elemento più interessante sta nel fatto che re Carlo Alberto vi avesse già creato, negli anni trenta del XIX secolo, un’azienda agraria innovativa per l’epoca con vigneti e cantine. Il recupero architettonico della tenuta e la sua trasformazione in Università di Scienze Gastronomiche (UNISG) mi paiono perfettamente in linea con la sua funzione originaria.

 

 

Un contesto storico d’eccellenza, che fa da cornice ad una delle avanguardie della salvaguardia della cultura culinaria in Italia e nel mondo come Slow Food. Cosa ti ha arricchito maggiormente di quell’esperienza da bibliotecaria?

All’Università di Scienze Gastronomiche il cibo viene studiato come elemento di interpretazione culturale delle società in diversi contesti geografici e temporali. Aver avuto il privilegio di vivere per quattro anni immersa in un patrimonio di più di 15.000 volumi dedicati all’enogastronomia, mi ha pienamente convinto del fatto che il cibo rappresenta una vera e propria opera d’arte. Come responsabile acquisti e catalogazione dei libri per la biblioteca ho avuto la possibilità di leggere moltissimo: senza neanche accorgermene ho cominciato a costruire la mia competenza nel settore food. Ma è stato il vino a destare maggiormente il mio interesse.

Marta Ferrero - A Day in Greenwhich for The Creative Brothers

Qual è stato il momento, o la fase di quell’esperienza, che ha fatto scoccare questa passione?

La biblioteca dell’Università è dislocata al piano superiore della Banca del Vino. Se non si conosce questa realtà, e siete appassionati di vino, prenotare una visita è altamente consigliabile.Marta Ferrero - A Day in Greenwhich for The Creative Brothers Si tratta di un luogo nato dall’idea di costruire la memoria storica del vino italiano selezionando, stoccando e conservando i migliori vini della penisola nelle cantine ottocentesche dell’Agenzia di Pollenzo. Oltre ad essere un luogo di custodia per le future generazioni, la Banca del Vino è promotrice di molte degustazioni guidate e incontri con i produttori. Ho iniziato a frequentare molte di queste attività e mi sono appassionata al vino in quanto prodotto di storia e tradizione e frutto dell’interazione tra l’uomo e la terra. Nel contempo ho conseguito il titolo di Sommelier nel 2009.

Dopodiché la consacrazione definitiva grazie al master AIS alla Scuola Internazionale di Cucina Italiana ALMA. Quali circostanze ti hanno portato a lavorare per una delle realtà vinicole italiane maggiormente riconosciute a livello mondiale come Allegrini?

Il Master Sommelier ALMA-AIS alla Reggia di Colorno (PR) è stata un’altra tappa fondamentale nella mia formazione. Ha rappresentato il passaggio da un approccio al vino di livello amatoriale ad uno di tipo professionale. Al di là dell’approfondimento specifico sul prodotto vino, grande spazio del corso viene dedicato a tutti gli aspetti del wine marketing e della comunicazione e, soprattutto, alle visite sul campo a molte aziende vinicole in tutta Italia. Una delle visite è stata proprio quella da Allegrini a Fumane, in Valpolicella. Ricordo bene di aver pensato a come sarebbe stato interessante lavorare in quel contesto. L’occasione si è presentata alla fine del Master quando ho ricevuto una loro telefonata: la mattina successiva ero già al colloquio, e dopo due settimane  ero pronta ad iniziare una nuova avventura.

Due anni dopo il salto nel buio. La ricerca di un’occupazione all’estero, in quella che è considerata la tredicesima città italiana per numero di connazionali residenti: Londra. Qual è la molla che ti ha spinto oltremanica?

Accarezzavo l’idea di un’esperienza all’estero da molto tempo ma, per varie circostanze di vita, non era mai arrivato il momento giusto. Alla fine quel momento è arrivato. Marta Ferrero - A Day in Greenwhich for The Creative BrothersLa scelta di Londra è stata dettata dalle opportunità che questa grande capitale europea è in grado di offrire, sebbene in un contesto di altissima competizione. Dopo qualche mese di assestamento si realizza un altro sogno: inizio a lavorare per Decanter, uno dei wine magazines più rilevanti a livello internazionale, occupandomi delle relazioni con i produttori di vino di oltre 15 paesi, Italia in primis. Più in generale, la molla che mi ha spinto a trasferirmi all’estero è stata la curiosità di vivere in un contesto diverso rispetto a quello dove ero nata e cresciuta e poter esplorare nuovi stili di vita. Credo che un periodo all’estero sia un’esperienza che tutti dovrebbero sperimentare.

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Leggendo le note stampa di una qualsiasi cantina vitivinicola si possono trovare parole come “passione” e “dedizione” ripetute e declinate più volte: c’è un aspetto fondamentale che ritieni manchi nel nostro Paese per valorizzare veramente menti creative in questo settore?

Passione, dedizione… e tradizione. Quello che dovrebbe essere un punto di forza si dimostra, invece, un elemento congenito di debolezza. Intendiamoci, non ritengo che la storia e la tradizione non siano importanti. Ma questi aspetti diventano poi degli alibi per non sperimentare approcci diversi, soprattutto nella vendita, nel marketing e nella comunicazione. Si lavora con la paura costante del cambiamento. Si manifesta una sorta di snobismo verso chi si approccia al vino con scarsa o nessuna conoscenza. Non è un caso che il mondo del vino sia spesso distante dalle fasce giovani della popolazione, i cosiddetti millennials, che rappresentano i consumatori del futuro. Per valorizzare le menti creative bisognerebbe lasciare campo libero a proposte che potrebbero sembrare inconsuete o alternative, magari buttando un occhio a qualche case study dei produttori del Nuovo Mondo.

«Si ha troppa paura del cambiamento. Si lanciano anatemi verso chi si approccia al vino con poca o nessuna conoscenza. Non è un caso che il mondo del vino sia spesso distante dalle fasce giovani della popolazione, che però saranno i consumatori del futuro».

Perché la scelta di Greenwich per stabilirti qui a Londra?

Ho amato questo quartiere dalla prima volta in cui vi ho messo piede: sebbene sia Londra a tutti gli effetti, l’area dove vivo conserva un’atmosfera da villaggio vittoriano. Si tratta di uno dei soli quattro «Royal Borough» di Londra, un appellativo che viene attribuito per particolari legami storici con la monarchia. Greenwich conserva anche traccia di una grande tradizione marittima e portuale: uno degli elementi più riconoscibili del quartiere è il Cutty Sark, un veliero posizionato a pochi metri dalla riva del Tamigi e oggi adibito a museo.

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Sin dal mio trasferimento a Londra ho trovato la zona South-East più interessante dal punto di vista urbanistico. E Greenwich, per la sua configurazione «a villaggio», mi ha dato l’idea di maggiore vivibilità rispetto ad altre zone.

Quali sono i dettagli che ti hanno fatto innamorare del tuo quartiere? Cosa ne fa un luogo particolare per te?

Greenwich è sede del Royal Observatory (RGO) che ha avuto un ruolo chiave nella storia dell’astronomia e della navigazione. L’osservatorio si trova nel cuore del Greenwich Park, un parco dalla bellezza straordinaria, con delle vedute incredibili sul Tamigi, Canary Wharf e la City.

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Durante la settimana, quando il parco è meno frequentato, ho preso l’abitudine di salire verso il punto più alto e lasciare fluire liberamente i miei pensieri: è molto importante trovare spazi di quiete in una città frenetica come Londra. Ultimo dettaglio la vicinanza all’acqua: non mi spiego il perché di questo fascino, ma in qualche modo sono attratta dai quartieri costeggianti un fiume. In questo caso, poi, la presenza di numerosi pub storici disseminati lungo la riva non fa che aumentare il già preesistente charme!

Cosa trovi e cosa continui a cercare per stimolarti e farti attrarre da questa città?

Quello che più apprezzo di Londra è la libertà di poter essere chiunque. Di potersi reinventare ogni giorno. Di mescolarsi con persone provenienti da culture completamente diverse dalla propria e capire veramente che niente è in assoluto giusto o sbagliato. Le aspettative della società che ti circonda inoltre, che in alcuni casi possono essere condizionanti nel nostro Paese, qui sono praticamente inesistenti. A Londra vai benissimo così come sei, con tutte le tue contraddizioni, i tuoi gusti, le tue preferenze e le tue abitudini. Essere una goccia in mezzo a quasi nove milioni di persone può risultare alienante, ma ha anche i suoi vantaggi.

«Quello che più apprezzo di Londra è la sensazione di libertà di poter essere chiunque. Di poterSI reinventarE ogni giorno. Di mescolarsi con persone provenientI da culture completamente diverse dalla PROPRIA e capire veramente che niente è in assoluto giusto o sbagliato».

Una giornata di libertà a Londra secondo il tuo personale modo di intendere la vita. 

I miei ritmi di vita sono veramente lenti per gli standard londinesi. A me piace perdere tempo. Credo che il più grande lusso sia non avere programmi e non dover guardare l’orologio.Marta Ferrero - A Day in Greenwhich for The Creative Brothers A Londra puoi avere qualsiasi tipo di opzione. Puoi svegliarti e chiederti «cosa mi va di fare oggi?» e scegliere tra mille ipotesi diverse. Immaginando che sia domenica prenderei il treno sedendomi rigorosamente nel primo sedile del primo vagone, per godermi la visuale migliore mentre si attraversano le Docklands e i grattacieli di Canary Wharf. Arrivata alla fermata di Bank, nella City, attraverserei l’Old Spitalfields Market per dirigermi verso il mercato di Brick Lane in Shoreditch, facendomi catturare dagli oggetti dei vari negozi vintage e di anticaglie. Dopo aver percorso tutta Brick Lane, mi sposterei verso uno dei mercati che in assoluto preferisco: Il Columbia Road Flower Market. Oltre al piacere di essere circondati da un tripudio di piante e di fiori di tutte le forme e colori, intorno al mercato si trovano dei deliziosi negozi di arredamento e oggettistica in stile country chic inglese. Un’attrazione irresistibile per me, a scapito delle mie tasche.

C’è un progetto a cui pensi da tempo e che riuscirai presto a far uscire dal cassetto dei buoni propositi nel breve periodo?

Alla domanda «cosa vuoi fare da grande?», da bambina rispondevo «la giornalista». Non credo che questa sia esattamente la professione a cui aspiro oggi, ma non nascondo la mia grande attrazione per la carta stampata, i libri, le riviste. E per le parole. Spero davvero che la voglia di scrivere possa presto uscire dal cassetto dei buoni propositi e si trasformi in qualcosa di tangibile.

Intervista: Mauro Farina  Shooting fotografico: Valeria Necchio

Mauro Farina

Founder - Creative Content Manager

Altoatesino di nascita, bolognese nel cuore e veronese d’adozione, vive in simbiosi con la sindrome del bambino di fronte alla vetrina del negozio di giocattoli. Vorrebbe comprare tutto, ma non potendoselo permettere sublima raccontando ciò che divora con gli occhi.