Florian Rabanser è un mastro distillatore che vive ai piedi delle Dolomiti. Nei suoi distillati, nel gin in particolare, ha sintetizzato tutto il suo amore per i sapori autentici. Scopriamolo in questo articolo.
Un cielo imbronciato strizza pioggia sulla strada tortuosa. Il bosco abbraccia il paesaggio che si mostra nel suo abito estivo. Di fronte a noi l’imponente vetta dello Sciliar fa capolino tra le nubi pannose in dissolvenza. Superiamo il centro abitato di Castelrotto e saliamo ancora un po’. Il silenzio domina questi luoghi in cui il tempo sembra scandito dagli elementi naturali.
Quando raggiungiamo San Valentino è tarda mattinata, ad attenderci nella piccola distilleria al piano terra del maso dove vive con la famiglia Florian Rabanser, mente e braccia di Zu Plun. La stretta di mano sicura ed energica, il sorriso spontaneo e tutta l’aria di chi è stato interrotto nel bel mezzo di una faccenda importante: «sto distillando, venite».
Gli intensi effluvi della distillazione ci accompagnano sino alla sala degustazione dove riposano le botti d’affinamento. Elementi caldi e materici si alternano ad altri più essenziali e freddi: «questa sala l’ho arredata io», mi incalza mentre ci accomodiamo sugli ampi tronchi in legno cesellati a mo’ di sgabello.
So che vieni da una famiglia di albergatori, Florian. Ti va di riavvolgere il nastro e raccontarmi il percorso che ti ha portato a questo presente?
«Abbiamo avuto l’albergo per una trentina d’anni, poi abbiamo deciso di cedere l’attività perché era diventata troppo impegnativa, lo stesso concetto di ospitalità è cambiato molto in un ventennio. Ho scelto di dedicarmi a qualcosa che mi concedesse più tempo per stare con la famiglia.
Così ho acquistato questo maso, l’ho ristrutturato e circa quindici anni fa ho iniziato i lavori per la distilleria. Distillare è una pratica abbastanza comune in questi territori, direi quasi parte del nostro DNA. Ho semplicemente assecondato questa attitudine. Io poi vengo dalla cucina, nel mio albergo gestivo la parte ristorativa, cercare armonia tra diversi ingredienti era il mio lavoro. In questo ho trovato molte assonanze tra i due mondi, probabilmente è questo che lega il mio passato a questo presente. Il palato mentale di un cuoco mi è stato molto utile, ha reso tutto più veloce».
«Io provengo dalla cucina, nel mio albergo gestivo la parte ristorativa, cercare armonia tra diversi ingredienti era il mio lavoro». Florian Rabanser
Come hai iniziato? Quali passi hai mosso e in quale direzione?
«Beh, per prima cosa ho studiato. Ho frequentato un corso all’istituto di San Michele all’Adige e mi sono fatto aiutare da professionisti, il resto è il risultato di moltissime prove ed errori. Il distillato di pera Williams è stata la prima creatura a marchio Zu Plun. Poi sono arrivate le grappe, ho la fortuna di avere parenti vignaioli (da cui acquisto le vinacce) e anche i loro consigli sono stati preziosi per inserirmi più velocemente in questo mondo. Poi si è aggiunto il distillato alla prugna sino ad arrivare alla gamma di prodotti che vedi oggi. Attualmente produco circa ventimila bottiglie».
Scorgo molti prodotti tradizionali e altri decisamente esterofili. Cosa ti ha portato al gin?
«La ricerca di nuovi stimoli. Potrei lavorare giorno e notte a un nuovo progetto e non mi riferisco solo ai miei distillati. Con l’aiuto di un grafico ho pensato personalmente anche alle etichette, ad esempio.
Il gin ha in parte risposto all’esigenza di esplorare nuovi mondi con il piglio del cuoco di cui ti parlavo prima. In una grappa le variabili sono minori, non dico sia un mondo che non ha più segreti, ma credo di essere arrivato a ottenere ciò che mi ero prefissato. Con il gin e altri prodotti è diverso, ti puoi esprimere maggiormente e caratterizzare quello che metti nel bicchiere».
E qual è il “message in a bottle” di Florian? Quale filosofia unisce i tuoi prodotti?
«Te la sintetizzerei così: vivo ai piedi delle Dolomiti, faccio distillati di montagna. Quella austera e concreta. Non amo i prodotti ruffiani (ride, n.d.r.), non sono parte del mio essere. Insomma, è come la mia stretta di mano, bella energica!
Per me è molto importante anche rispettare l’identità di un prodotto. Prendi il ,gin ad esempio: quanti ne trovi sul mercato di ottimi, ma che non sanno più di ginepro? Io preferisco caratterizzare, dove possibile, mantenendo l’essenza del distillato».
«Vivo ai piedi delle Dolomiti, faccio distillati di montagna. Quella austera e concreta». Florian Rabanser
Noto che i prodotti tradizionali sono comunque alla base del tuo lavoro. Pensavo al mercato della grappa e alla flessione importante subita negli ultimi anni. A tuo avviso c’è una ripresa o rimane comunque un prodotto oggi più difficile da proporre? Hai incontrato difficoltà?
«Zu Plun è legato al territorio, la produzione è il suo riflesso. Rum e gin sono giochi (ride) che finiscono in bottiglia solo quando mi soddisfano.
Innegabile che il mercato degli spirits sia cambiato, nel mio caso avendo da subito lavorato per ottenere prodotti di qualità, e producendo tutto sommato piccole quantità, devo dire di non aver mai avuto difficoltà in tal senso».
«Preferisco caratterizzare, dove possibile, mantenendo l’essenza del distillato». Florian Rabanser
Sembra però che questi giochi ti divertano. Attualmente quanti gin produci?
«Per ora quattro. Il Dol Gin, prodotto con le botaniche delle Dolomiti, è sicuramente quello più rappresentativo di queste zone. C’è molto di questi luoghi in quel distillato. Quello probabilmente più affine alle tendenze del momento è lo Yellow Gin, in cui l’aromaticità del ginepro è arricchita dai sentori dei limoni del Garda.
Il Grenoir è quello in cui ho utilizzato il melograno e infine il Salz Gin, arricchito con sale e ostriche. Ho voluto creare qualcosa di interessante dal punto di vista gastronomico. Vedi? Il tema cucina ritorna».
E l’aceto balsamico è sempre figlio di quel tentativo di sfuggire alla noia?
«Già. Ho iniziato 25 anni fa con il Trebbiano, ora utilizzo solo Lagrein. Sono stato tre mesi in diverse acetaie del modenese per capire come venisse prodotto il balsamico tradizionale. La metodologia è la stessa, il risultato ovviamente diverso. Alcuni prodotti (più di altri) appartengono alla storia di un luogo e delle persone che lo animano.
Se non l’hai vissuta profondamente è difficile riuscire a capirla e replicarla altrove. Credo sia anche il valore aggiunto di alcuni prodotti».
E il futuro che sapore ha? Hai progetti in cantiere di cui vuoi parlarci?
«Il sogno nel cassetto resta sempre quello del profumo da bere. Mi piacerebbe creare un profumo gradevole anche al palato. So che è molto difficile, i profumieri sono abili nel progettare la parte olfattiva, ma all’assaggio poi i prodotti sono imbevibili. Molte materie prime sono amare, insomma, servirebbe un tecnico che sappia unire i due aspetti. Comunque ora sono assorbito dal lancio della mia tonica. È stata una bella sfida, dettata soprattutto dal fatto che molti mi chiedevano cosa abbinare ai miei gin e mi sono reso conto che nulla di ciò che offre il mercato era davvero adatto. Torniamo al concetto di identità, o purezza, come la chiamo io. In una tonica voglio sentirci il chinino, poi può esserci anche altro, ma non deve essere il contrario. I miei gin sono molto secchi, tutti hanno una nota amara. Serviva qualcosa che in miscelazione valorizzasse queste caratteristiche».
Mentre un registratore cattura questi racconti tuffo il naso nei gin. Il ginepro protagonista in tutte le versioni e un tappeto aromatico a comporre puzzle ordinati sullo sfondo. Le diverse declinazioni si mostrano nitidamente, i sentori agrumati agghindano il naso dello Yellow Gin, nel Grenoir scorgo la nota gentile del malograno, mentre il quadro si fa più complesso con il Dol Gin, in cui scorgo sentori erbacei, di fieno, bacche e fiori di sambuco. In bocca ritrovo quella stretta di mano energica, secchezza e finale amaro caratterizzano tutte le versioni. Solo nel Salz Gin la salinità ne mitiga la percezione. Il messaggio è coerente, racconta questi luoghi e l’artigiano che ho davanti. Pragmatico, curioso di tutti i mondi possibili, attendo a fiutare le tendenze ma profondamente legato alle sue radici. Un montanaro che mi parla di movida milanese con addosso gli stivali da lavoro.
Quando usciamo dalla distilleria il cielo si è aperto, il sole ha cambiato aspetto al paesaggio che ora profuma di terra bagnata e muschio. Indugiamo, che la fretta non appartiene a questi luoghi.
Articolo: Stefania Pompele Shooting fotografico: Stefano Tambalo