Flavio Angiolillo, francese di madre italiana, ha lavorato per Alain Ducasse e Gordon Ramsey, ma ha lasciato la cucina per dedicarsi al bartending e al mondo dei cocktail. Lo abbiamo incontrato in uno dei locali che ha aperto a Milano e ci ha raccontato la sua storia.
«Ho iniziato la mia carriera lavorativa in cucina. A sedici anni, come tanti altri ragazzi di quell’età, andai a lavorare per pagarmi l’agognato motorino: iniziai con il lavare i piatti in un ristorante. Qualche tempo dopo il titolare mi propose un ingaggio come apprendista cuoco. L’idea mi stuzzicò fin da subito, ma decisi di metterla in pratica scegliendo di iniziare presso un ristorante di livello più elevato. Posso dire che quello è stato il momento in cui la mia carriera lavorativa ha avuto ufficialmente il suo inizio.
Due anni da apprendista mi hanno portato esperienza, competenza e voglia di cimentarmi in un altro ambiente. Passai così a lavorare in sala, iniziando a girare il mondo in locali sempre più prestigiosi o interessanti: prima a Montecarlo alle dipendenze di Alain Ducasse, poi a Londra alla corte di Gordon Ramsey. Per quanto mi trovassi bene a Londra, da buon latino non potevo resistere a lungo al clima inglese, quindi decisi di continuare la mia avventura sbarcando ai Caraibi. È stato quello il momento in cui sono passato dalla sala al lato opposto del bancone di un bar.
All’approssimarsi della scadenza del mio biglietto di andata e ritorno mi trovai di fronte a una scelta: continuare la mia avventura in quelle isole o dare un’ulteriore svolta al mio percorso professionale?
Arrivai quindi a Milano, sia per imparare la lingua (perché nonostante il mio cognome non ero in grado di padroneggiare l’italiano) che per inoltrarmi nel vasto e per me ancora semisconosciuto mondo dei vermouth, dei bitter e degli amari: un universo variegato e unico che tutto il mondo ci invidia e che noi italiani non siamo in grado di valorizzare come si deve. Questo nostro Paese non ha niente da invidiare in questo come in altri campi, ma spesso la gente si sofferma troppo a lamentarsi non capendo le meraviglie che abbiamo tra le mani.
Se penso a cosa mi hanno lasciato tutti questi anni di esperienze internazionali riesco a identificare due elementi: lo spirito e la capacità imprenditoriale. Perché se nella vita hai veramente passato giornate lavando piatti e bicchieri, pulendo un cesso o un pavimento sei perfettamente in grado di capire il valore del lavoro e la fatica di una persona. Per farti un esempio, il ragazzo che lava tutti i bicchieri del Mag è quello che tra noi lavora di più, ma te ne rendi conto solo se da quel ruolo ci sei passato anche tu. Avere questa percezione ti aiuta a tenere la squadra più coesa e a riconoscere dedizione e sacrifici. Nei miei locali do l’opportunità a tutti i miei ragazzi di crescere. Di certo questa opportunità bisogna guadagnarsela.
«Se nella tua vita hai veramente passato giornate lavando piatti e bicchieri, pulendo un cesso o un pavimento sei perfettamente in grado di capire il valore del lavoro e la fatica di una persona». Flavio ANgiolillo
Giunsi a Milano a febbraio del 2007. Faceva freddo, troppo freddo: non parlavo italiano e nessuno voleva farmi lavorare come bartender. Tornai quindi alle mie origini lavando bicchieri per sei mesi in un locale sul Naviglio Pavese. Il tempo di imparare la lingua e arrivò l’ingaggio al Trussardi Café. Fino all’apertura del mio primo locale.
Il primo anno i risultati furono al limite della disperazione: il mio locale non andava affatto bene perché volevo fare di tutto, per non dire troppo. Avevo in mente un format al quale l’avventore italiano non era abituato: un posto dove potersi fermare a fare una colazione così come una cena passando per l’aperitivo.
In Italia non funziona così: il cliente vuole andare in quella pasticceria perché trova i dolci migliori, in quel ristorante giapponese perché lì fanno il miglior sushi di Milano, in quel bar perché i bartender sono bravissimi con i cocktail. Quando presi coscienza di questa realtà mollai tutto, resettai e aprii il MAG, buttandomi in compagnia di un socio in quest’avventura nel mondo della cocktaileria.
In questi anni passati credo di aver capito un po’ l’indole e i comportamenti del milanese che si vuole divertire. Era necessario creare un locale in grado di generare atmosfere e situazioni che invogliassero la gente a uscire di casa. Il tutto accompagnato da una selezione adeguata e ricercata di drink. Per questo motivo il MAG è un locale in continuo divenire, sia nell’offerta di cocktail che nell’arredamento stesso.
«Era necessario creare un locale in grado di generare atmosfere e situazioni che invogliassero la gente a uscire di casa. Il tutto accompagnato da una selezione adeguata e ricercat». Flavio Angiolillo
Negli anni io e il mio staff ci siamo evoluti mantenendo un’aria molto bohemienne, mantenendo come segno distintivo un fortissimo spirito di squadra e continuando a creare cocktail divertenti che avvicinano i clienti, semplici da realizzare e con ingredienti facili da reperire.
Per le sofisticazioni e le particolarità ci sbizzarriamo con il “1930”, uno speakeasy bar aperto con il mio socio Marco Russo: il nostro progetto collaterale che possiamo considerare il nostro laboratorio d’eccellenza: una sorta di “Stella Michelin” del mondo della cocktaileria. Il 1930 così come il “Backdoor 43”, il bar più piccolo al mondo, sono stati creati per continuare a coccolare i nostri clienti e accompagnarli in una sorta di ideale percorso di educazione al bere. La nascita di questi locali è strettamente collegata all’evoluzione di questa città a metropoli europea. Milano è cresciuta e con lei si è evoluta anche l’idea di un bartending di qualità. Ultimo, ma non per importanza, il “Barba”, un cocktail bar dove abbiniamo diversi ingredienti: cocktail, cucina e passione per i vinili.
«Se il gin tonic ha contribuito a dare una svolta alla percezione della gente rispetto al mondo del bartending, crediamo che sia comunque necessario andare oltre». Flavio Angiolillo
Oggi la tendenza più evidente è quella di sperimentare. Nel nostro staff abbiamo la fortuna di avere dei ragazzi bravissimi a coniugare insieme un’idea moderna di cucina con la cocktaileria insieme.
Se il gin tonic ha contribuito a dare una svolta alla percezione della gente rispetto al mondo del bartending crediamo che sia comunque necessario andare oltre. Mi riferisco alla necessità di uscire dai canoni convenzionali dettati dall’uso di gin, wodka o tequila provando anche ad osare, creando un prodotto ex novo, come ad esempio un botanical spirit, o lanciandosi in mix molto più particolari.
Ma, dopo tutto, se dovessi pensare a uno tra i miei locali che per gusto personale mi rappresenta maggiormente non potrei fare altro che nominare il MAG senza esitazioni: perché non è solo il locale in cui tutto è iniziato, ma anche il luogo dove trovo il piacere di servire, e di farlo bene, centinaia di persone ogni sera. Continuando a evolvere senza dormire sugli allori. Ed è questa la mia sfida più grande».
Flavio Angiolillo si è raccontato a Mauro Farina. Fotografie di Simone Toson