Dino Romano, da sempre meccanico, customizzatore, inventore di moto e di motori che non esistono, è uno a cui un sogno solo non basta.
Per questo torna a Bonneville, a inseguire di nuovo il “suo” record. Anche questa volta con lo stile che lo contraddistingue, il suo elisir di eterna giovinezza: cuore, genuinità e una folle, trascinante determinazione.
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Sembra che la formula per restare giovani sia stata inventata. E no, non è a base di una ferrea dieta, tecniche di fitness innovative o ritrovati farmaceutici costosissimi. È tutta nella nostra testa. Più ancora che nella testa: è nel cuore.
Per farci rivelare questa formula magica bisogna spingersi nel profondo della bellezza ruvida della Maremma, dove si respira aria selvaggia, profumata di pini marittimi, cipressi e rosmarino. E si capisce subito perché Dino Romano, customizzatore e titolare di Motodalcuore, abbia scelto questo angolo d’Italia per dare casa al suo sogno. Che poi è un sogno con dentro tanti sogni differenti. Perché Dino, “ragazzino” ormai sessantenne (ma lui dice di 59 anni + 1, perché 60 fa vecchio), di vite ne ha vissute davvero tante, sempre seguendo cocciutamente la rotta del cuore.
E le racconta tutte con la vitalità inesauribile che mette in ogni gesto, in ogni parola. Ha occhi che sprizzano scintille, Dino Romano, come quelli di un adolescente a cui abbiano appena regalato il primo motorino. Nato in un continente, il Sud America, dove anche solo vivere e sopravvivere era un’avventura, è stato nella sua vita fumettista, pescivendolo, pasticciere, elettricista e tante altre cose. Ma nella sua vita i motori ci sono sempre stati. Ma sempre motori “speciali”: Dino Romano tutto quello che fa, lo fa sempre a modo suo. Una deformazione professionale, la sua, un demone: quello di vedere tutto modificato, che sia una dragster, una macchina in stile hot rod o una moto da endurance.
L’ennesima creatura immaginaria sta prendendo vita nella sua officina. È la moto a GPL che lo porterà per la seconda volta, di nuovo con Pakelo al suo fianco, a tentare il record di velocità sulla distesa salata più leggendaria al mondo, Bonneville. Con il suo spirito di sempre: affamato di emozioni, visionario, innamorato di tutto ciò che fa.
Dino, raccontaci, come hai iniziato a lavorare con i motori?
«Beh, io faccio il meccanico da sempre. Sono entrato a 10 anni nell’officina di mio padre. E non ne sono più uscito. Per 25 anni sono stato concessionario Triumph. E la mia azienda si chiama Motodalcuore perché… semplicemente ho sempre fatto le cose col cuore».
Cosa ti ha trasmesso tuo padre, oltre alla passione per i motori?
«Mio padre era un militare italiano che alla disfatta dell’esercito alla fine della guerra si è nascosto in una nave nel porto di Genova ed è arrivato, come molti altri, in Argentina. Nel ’53, prima che io nascessi, ha fatto un lungo viaggio in moto sulle Ande su una Matchless, e spesso da piccolo ammiravo le fotografie di quell’impresa. Poi la Panamericana coi camion, ha lavorato sulle rompighiaccio in Antartide, nei pozzi petroliferi, coi trattori, ha portato la corrente nei paesini più remoti (perché a causa della mancanza di corrente aveva perso uno dei suoi figli appena nato, mio fratello). Ha sempre avuto uno spirito da avventuriero, ed è forse questo che ho ereditato da lui».
«C’è una scintilla che credo abbia scatenato tutto. Da ragazzino andai a vedere Easy Rider, quando uscì al cinema». Dino Romano
Poi siete arrivati in Italia…
«Sì, nel ’68, e io sono cresciuto a Milano, dove mio padre ha aperto l’officina. Lui lavorava con le auto, pensava che le moto fossero solo un “piacere”. Io ho invece sempre pensato che potessero diventare il mio lavoro».
Quando hai capito che il tuo talento era modificarle, creare qualcosa di completamente tuo?
«È successo che mi chiamassero in molti modi, artista, creativo… Io mi sono sempre definito meccanico, punto. A me piace essere questo e chi sminuisce la meccanica non sa di cosa sta parlando. Poi è vero, non posso fare a meno di vedere tutto modificato, immaginare qualcosa già come sarà. Non solo con le moto, mi succede con tutto. Ed è un bel casino. Ma mi è sempre piaciuto fare quello che gli altri non facevano, che poi è quello che io ho dentro».
La prima moto che hai modificato te la ricordi?
«C’è una scintilla che credo abbia scatenato tutto. Da ragazzino andai a vedere Easy Rider, quando uscì al cinema. Era sabato sera. La domenica mattina tagliai una Lambretta facendoci un chopper. Non andò mai in moto, un vero disastro. Ma qualcosa in me era ormai scattato. Ci fu un altro episodio di quegli anni: preparai il motorino del postino, un Bianchi Aquilotto. Prese fuoco (ride a crepapelle)! La meccanica è anche un po’ di follia: cercare quello che non c’è. Almeno, è questo ciò che mi fa impazzire di questo mondo».
Poi hai avuto le esperienze coi dragster, un’altra tua grande passione, insieme alle macchine americane e alle hot rod.
«Sì, la mia azienda prima si chiamava Drags & Racing, le stesse iniziali di Dino Romano, se ci pensi. Sono sempre stato appassionato di gare di ripresa, e così è finita che con un mio amico, Giannalberto, ci siamo iscritti al Campionato Dragster. La gara di ripresa è un attimo: nel giro di pochi secondi o vinci o perdi. Un po’ come succede spesso nella vita».
Tutto si tiene. Da quella Lambretta segata ai dragster, alle tue avventure di oggi, sempre accelerando. Hai voluto ostinatamente andare a Bonneville, e quest’anno ci riprovi. Parlaci di questo progetto incredibile, Open Eyes Dream.
«L’idea di andare a Bonneville con una moto da record è nata davvero tanti anni fa. Ma si è concretizzata solo l’anno scorso, quando mi sono intestardito a fare anche il 101% di quello che serviva per andarci! Ho fatto i salti mortali per reperire le finanze, e per fortuna mi hanno anche aiutato gli sponsor, tra cui Pakelo. Il team è composto da più di 20 persone, che hanno messo insieme il proprio sogno per costruire un sogno più grande, dando davvero il massimo. Sono stati due anni davvero difficili e impegnativi, soprattutto per trovare chi credesse in noi».
E alle fine a Bonneville siete riusciti ad arrivare, l’anno scorso. Descrivici l’atmosfera di questo appuntamento leggendario, la Speed Week.
«A Bonneville tutto è magico. La situazione, il contesto… Sei a 1300 metri di altezza, a 50° di media. È come stare in sauna 20 ore al giorno, ti cuoci a fuoco lento. Ti abbaglia tutto, non vedi nulla! Immagina una pista di sci, ma fatta di sale. E in questo ambiente incredibile vedi i più grandi team al mondo, che stanno accanto a te e vengono ad aiutarti se c’è bisogno di riparare qualcosa. C’è un rispetto tremendo tra tutti, meccanici, piloti… E tutti sono coscienti che lì rischiano la vita. Ma ricordiamoci che a Bonneville i record non li fa il pilota, li fa il mezzo. Già questo ti fa capire molte cose».
«E un po’ come se il nostro sogno fosse diventato il sogno di altri. Che non è niente male». Dino Romano
L’anno scorso avete fatto diversi lanci, passando le prime prove (le cosiddette licenze). Descrivici le sensazioni di quei momenti.
«Quando sei lanciato alla massima velocità, beh, intravedi solo i cartelli ogni tanto, devi cercare di andare più dritto possibile. Quando cambi, senti la gomma posteriore che se ne va. E quando prendi una pozza con un po’ d’acqua ti si rizzano tutti i peli del corpo. A malapena riesci a vedere il contagiri. Davanti a te c’è questo bianco che non finisce mai, e anche il cielo è bianco, per la cappa di calore. Tu cerchi disperatamente di mirare i cartelli fosforescenti per tenere la direzione. Non devi pensare alla velocità, non hai il tempo di pensare a niente, devi solo controllare la moto. E dare gas. Ma il momento più intenso è forse alla fine di tutto. Quando arrivi in fondo alla tua accelerazione sei solo, nel nulla, nel silenzio, nessuno che ti vede. È un’immensità in cui ti senti piccolissimo, ti senti parte del lago salato».
Poi il sogno si è infranto, siete stati funestati da una grandissima sfortuna. Cosa è successo?
«L’ultimo giorno è successo un disastro: ha preso fuoco la batteria al litio. Io che sono molto emotivo, ho pianto. Tutti eravamo molto giù. Ma voglio pensare al bicchiere mezzo pieno: deteniamo un record con motocicletta a GPL, abbiamo comunque passato le cinque licenze. Torniamo quest’anno per fare il record assoluto. E senza batteria al litio!».
Cosa vi ha spinto a ritentare questa avventura?
«Penso che sia una cosa davvero difficile e rara da vedere, ma sono stati i nostri sponsor a spingermi a tornare. E le tante, tantissime persone che ci avevano seguito online. Per questo noi ce la mettiamo tutta. E un po’ come se il nostro sogno fosse diventato il sogno di altri. Che non è niente male».
Sicuramente è stato importante anche contare su un team molto affiatato. Dicci di più su chi ha contribuito a questa nuova impresa.
«In primis devo citare Rosaria Fiorentino, la mia compagna, che si è occupata della logistica. Poi Federico Rizzo, l’ingegnere che ha studiato l’aerodinamica della carenatura. Francesco Bellesi, ha curato la parte organizzativa relativa al web e comunicazione. Poi Fabrizio “vetroresina”, come lo chiamo io. Eleonora Tiezzi insieme a Dox Design ha dipinto la moto, e mio figlio ha fatto parte della aerografia. E poi c’è il mio lavoro, 20 ore al giorno. Ognuno di noi ha voluto metterci qualcosa di suo. Tutto questo in sei mesi».
Perché avete scelto di utilizzare il propano liquido?
«Abbiamo scelto il propellente a GPL proprio per differenziarci dalla massa. Alle Salt Flats di Bonneville si vede davvero di tutto, ma le novità si fanno notare. Siamo stati i primi con una moto esclusivamente a GPL: ecologica! Alessio Biagiotti è il tecnico che per me è un idolo assoluto, e merita una menzione speciale: lui si è occupato della gestione elettronica del GPL».
Facci l’identikit della nuova moto che correrà sul sale.
«Ecco qui: 250 kg, 240 cavalli circa, 3 centraline di gestione, 345 cm di lunghezza, 109 di altezza, 90 di larghezza. Ruote da 17: 120 anteriore, 190 posteriore. Scarico quattro in due in uno creato da Zard. Olio Pakelo. E gas a manetta!».
Come è avvenuto l’incontro con Pakelo? Cosa vi avvicina?
«Il rapporto con Pakelo è iniziato 3 anni fa, mentre ricercavo degli sponsor. Dopo svariati mesi dal primo contatto mi arriva una telefonata in cui mi comunicano che hanno amato il lato umano del nostro progetto e che intendono supportarci. È nato un rapporto bellissimo. Hanno creato un olio speciale pensato per le condizioni e le temperature di esercizio sul sale, che per noi è andato benissimo. Credo che come azienda italiana abbiano apprezzato il fatto che il nostro progetto cerca di promuovere l’italianità nel mondo. E questo ci piace molto».
Sei impegnato con un sogno davvero grande, Dino. Ma certamente non ti fermerai qui.
«Eh, di sogni nel cassetto ne ho sempre tanti. Però ne ho uno a cui sono particolarmente legato. Mi piacerebbe in futuro creare un scuola di meccanica per giovani. Per aiutarli a imparare a fare le cose in un modo speciale: col cuore».