Barbara Chichiarelli è un’attrice di cinema e teatro, famosa al grande pubblico per il ruolo di Livia Adami nella serie tv Suburra. L’abbiamo incontrata in una suggestiva Trastevere, in una Roma che, a suo dire, somiglia molto a quella rappresentata nella serie tv.
È un venerdì mattina di dicembre, il sole timido si fa spazio tra nuvole bianche che popolano un cielo azzurro intenso, l’aria frizzante dei giorni prima del Natale rende euforico tutto il borgo di Trastevere, uno dei luoghi più affascinanti della capitale.
Un rione che rappresenta un mondo a sé, passeggiare per Trastevere dà la sensazione di trovarsi in un contesto unico dal sapore antico e autentico, con vicoli e piazze che aprono la vista a incantevoli scorci. In questa atmosfera così magica decido di sedermi in una piccola e storica caffetteria, una sorta di rifugio familiare di vecchi artisti del passato; è qui che mi raggiunge Barbara Chichiarelli, attrice romana che ha iniziato il suo percorso nel mondo del teatro ed è divenuta recentemente una rivelazione nelle vesti di Livia Adami nella serie tv italiana Suburra, prodotta da Netflix.
Barbara Chichiarelli, donna dall’aspetto genuino e brillante che incarna le grandi virtù femminili di forza e determinazione, mi racconta della sua naturale passione per la recitazione, iniziata un po’ per gioco e un po’ per caso da bambina durante una rappresentazione scolastica. Una passione che è stata determinante nelle sue scelte di vita e che ha visto trionfare il suo talento nell’avvincente serie tv Suburra.
Iniziamo dalla tua magistrale interpretazione di Livia Adami, sorella maggiore di Aureliano. Cosa ha significato per te immedesimarsi in questa figura dall’animo duplice, da un lato sorella protettiva e sensibile e dall’altro donna spietata e dura capace di farsi rispettare da criminali e uomini temibili?
«La personalità di Livia Adami deriva dal mio essere donna nella vita di tutti i giorni: Barbara e Livia hanno tratti caratteriali simili. Autorevolezza e determinazione, ma anche senso protettivo e comprensivo nei confronti della famiglia. Credo di aver trasmesso questa parte di me al personaggio, quei colori che mi appartengono, definiti a volte un po’ “maschili”, ma che per forza di cosa devono manifestarsi nell’evoluzione psicologica di Livia. Il mio personaggio riesce a calibrare i suoi stati d’animo, trovandosi anche in condizioni estreme a dover affrontare problematiche familiari nonché vicissitudini afferenti esclusivamente alla sfera degli interessi economici e di potere.
Parlando dell’atteggiamento del mio personaggio, ritengo che tutto ciò che è rigido finisce per spezzarsi mentre ciò che è morbido è capace di sopportare traumi e cambiamenti. La morbidezza da un lato e la capacità di emozionarsi di Livia sono declinazioni che io stessa nella mia vita ho provato sulla pelle.
«Se da piccola mi avessero chiesto cosa volevo fare una volta diventata grande non avrei saputo dare una risposta certa. Sapevo solo che avrei voluto lasciare un segno nel mondo». Barbara Chichiarelli
Studiando a fondo il copione e immedesimandomi nelle diverse vicende, volevo offrire un’immagine di donna forte, una persona che affronta la vita a testa alta e dimostra razionalità nelle sue decisioni. Non amo le “etichette”, sono fiera di essere considerata una donna dal temperamento tenace ma allo stesso tempo sono orgogliosa di mantenere le mie peculiarità femminili».
Nel corso delle puntate della serie si assiste ad un cambiamento progressivo del comportamento di Livia. Come hai affrontato questo shift nell’interpretazione?
«Ho letto tutta la storia prima di iniziare, volevo avere una visione d’insieme ma come succede spesso sul set, le vicende cambiano in corso d’opera. Proprio per questo motivo ho cercato di calibrare la mia recitazione facendo crescere un sentimento tale da conferire una linea plausibile e organica al personaggio.
Mettendomi dal punto di vista di Livia, alcune cose le ho condivise mentre altre no. Nella scena finale, ad esempio, l’essere arrivata a una faida tra fratelli senza possibilità di ritorno l’ho trovata un po’ forte. Livia è rimasta sempre molto razionale, si è impegnata nel mantenere un certo status quo ma poi ha perso il senno: questo perché, come nella vita, entrano in gioco emozioni e sentimenti difficili da gestire con lucidità. Analizzando poi il rapporto “malato” tra Livia e suo fratello Aureliano vengono a galla tutti quei complessi identificati dalla psicologia, da Elettra a Edipo».
Suburra racconta una Roma corrotta, dissoluta e spietata. Come è la tua fotografia personale della Capitale?
«Purtroppo la mia visione della Roma non è molto distante dall’immaginario creato nella serie tv. Credo che Roma sia una città in decadenza non da oggi ma da 2000 anni. Chi vive qui sa che sta peggiorando e sento dire spesso che si stava meglio negli anni Settanta. Potrei definirla una sorte di sindrome da “Midnight in Paris”, una riflessione nostalgica verso il passato, l’idea errata che un diverso periodo storico sia stato migliore di quello in cui viviamo. Spero solo che i temi che sono stati sollevati in Suburra vengano affrontati in maniera reale.
Io, però, nei miei ricordi ho una fotografia di Roma molto bella, è la città dove sono nata e cresciuta e che difficilmente riesco ad abbandonare per periodi troppo lunghi».
Quando ti chiedevano cosa volevi fare da grande tu cosa rispondevi? Quando è nata la tua passione per la recitazione?
«Se da piccola mi avessero chiesto cosa volevo fare una volta diventata grande non avrei saputo dare una risposta certa. Sapevo solo che avrei voluto lasciare un segno nel mondo. La recitazione mi ha accompagnato fin da bambina, il mio primo spettacolo l’ho fatto a soli due anni. Questa passione è venuta fuori in modo del tutto spontaneo per il semplice fatto che non ero una bambina timida, avevo una buona memoria e parlavo già in maniera abbastanza scandita».
La tua carriera però nasce sul palcoscenico. Cosa ti ha insegnato il teatro?
«Nel teatro sei tu e il palcoscenico dove può succedere di tutto: puoi sbagliare, dimenticarti una battuta o addirittura inciampare. Gli imprevisti li risolvi in tempo reale cercando di non far capire al pubblico cosa sta succedendo, vivi il qui ed ora. Il teatro necessita di un impegno costante e di una disciplina che si tramuta in un investimento fisico ed emotivo completamente diverso da quello di un set televisivo.
È uno dei riti più antichi: io parlo di teatro inteso come patto tra più persone, alcune che agiscono e che altre guardano. Con la compagnia teatrale ti ritrovi a condividere davvero tanto, vivi e lavori in simbiosi, il teatro diventa la tua piccola famiglia per tutta la durata delle tournée. In Italia il teatro dovrebbe riacquisire quella centralità che ha un po’ perso; non si tratta solo di un passatempo, ma di un momento di ritrovo e di riflessione».
Durante il tuo percorso formativo c’è stato un incontro che ti ha lasciato una lezione preziosa che ti è poi tornata utile negli anni?
«Di occasioni e incontri importanti ce ne sono stati molti, ma più che un momento ricordo un progetto che mi ha insegnato molto e che mi rivedrà sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano a maggio 2018. Si tratta di “Santa Estasi – Atridi: otto ritratti di famiglia” diretto da Antonio Latella, dove ho interpretato la bella e sfuggente Elena della mitologia greca. Il training prima del debutto in teatro è stato intenso, sia in termini temporali che di impegno fisico, una sorta di maratona consecutiva di diciannove ore che mi ha portato a vivere un’esperienza unica nel suo genere.
È stato in quei momenti di duro lavoro che ho compreso per la prima volta il senso di una frase che mi accompagnava da anni, un aforisma di Emily Dickinson: “Non ci rendiamo conto della nostra altezza fino a quando non ci chiedono di alzarci in piedi”. Proprio lì ho creduto in me stessa davvero fino all’ultimo, mossa dalla convinzione di poter riuscire a fare qualsiasi cosa se solo lo volevo. Ti accorgi che, a parte i fattori fisici, il limite alla fine è rappresentato solo da te stesso».
«Nel teatro sei tu e il palcoscenico dove può succedere di tutto: puoi sbagliare, dimenticarti una battuta o addirittura inciampare. Gli imprevisti li risolvi in tempo reale cercando di non far capire al pubblico cosa sta succedendo, vivi il qui e ora». Barbara Chichiarelli
Shakespeare diceva: “La vita è come il teatro e il teatro è come la vita”. Cosa pensi a riguardo?
«Concordo con Shakespeare: fare teatro vuol dire cambiare la propria interpretazione ogni sera, non si può contemplare una ripetizione identica a sé stessa. Recitare su un palcoscenico significa confrontarsi con un pubblico diverso ogni volta che ti dà modo di stupirti sempre. Ogni gesto, ogni parola, ogni emozione dura forse solo un istante ma con un’intensità e un’adrenalina tale che solo in determinati momenti della vita ti accade di sperimentare».
Parlando di cinema, quale ruolo ti sarebbe piaciuto interpretare?
«Se parliamo di attori contemporanei mi sarebbe piaciuto interpretare tutti i film in cui è protagonista Cate Blanchett, è un’attrice di cui stimo il talento e la versatilità. A dimostrazione di ciò, nel suo ultimo film “Manifesto”, la Blanchett è riuscita a interpretare con maestria ben tredici personaggi diversi. Un film che adoro e che mi sarebbe piaciuto portare sulla scena è “Man on the moon”: ho trovato geniale la performance di Jim Carrey che riesce ad immergersi in maniera impressionate nel personaggio riuscendo a passare da ruoli prettamente comici ad altri molto drammatici. Tra le attrici del passato mi viene in mente Bette Davis, attrice geniale e trasgressiva, dotata di grande carisma e forte presenza scenica e Liv Ullmann, soprannominata “Angelo Norvegese”, che ha saputo essere forte e insicura nello stesso tempo. Mi piacciono le attrici che hanno un certo peso specifico sulla scena, che riescono ad interpretare le diverse sfumature della personalità».
Quali sono le difficoltà e le paure che può incontrare un attore?
«Sicuramente in questo lavoro gioca molto la paura di non essere all’altezza di un ruolo, è un mestiere che ti mette di fronte a te stesso completamente, anche a livello fisico. Molte volte come attori possiamo non piacere, ma è errato pensare che il feeedback negativo dipende dal tipo di persona che siamo, magari siamo solo sbagliati per interpretare quella determinata parte.
Credo che sia necessario “nutrirsi” non solo del proprio lavoro, ma leggere, studiare, viaggiare, alimentare l’anima di scoperte interessanti. È fondamentale cercare di conoscersi per migliorare ogni giorno la propria vita. Se provate a chiedere a molti attori quale sia il loro sogno nella vita, vi rispondono: “Vincere l’Oscar!”. Io credo invece nella realizzazione di me stessa come persona, nell’essere felice per ciò che sono e per svegliarmi ogni mattina e fare un lavoro che mi diverte da morire».
Che consigli daresti ad un aspirante attore?
«Quello di continuare a frequentare le vecchie amicizie, le persone che non fanno parte di questo mestiere perché tra attori si tende, per osmosi, a passarsi fisime e paturnie. È importante evitare di essere troppo egocentrici, permalosi, aridi, potrei elencare tutti quegli aggettivi che riguardano la sfera del cuore e delle emozioni, bisogna saper essere aperti al dialogo e mettersi in discussione. L’arrivismo per esempio è qualcosa che uccide mentre il gioco di squadra è essenziale nel teatro e più in generale nella vita. Il teatro è un’arte collettiva, non si può fare da soli.
La fiducia, poi, è alla base del mestiere, ti devi fidare del regista, del personaggio, dei tuoi colleghi, dell’abito che indossi. Io ho lavorato molto su me stessa, ho imparato a conoscermi, a scoprire i miei limiti, a percepire il mio corpo. L’attore deve saper cogliere le diverse angolazioni delle situazioni, avere la capacità di leggere tra le righe. Il consiglio più spassionato che posso dare e di essere una persona curiosa: studiare le persone, osservarle, essere empatici, avere una curiosità famelica per tutto ciò che animato e inanimato e mettersi in gioco, sempre».
Articolo: Giulia Pallante Shooting fotografico: Leonardo Kurtz
Credits: Sandy Giuffrida e Alex Rocchi per Simone Belli Make Up
Abito: Chedric Charlier
Agenzia: Factory 4