Barbara Baldo, trevigiana di nascita e veronese d’adozione, ci accoglie nel suo appartamento in Valdonega, quartiere sospeso tra il centro storico di Verona ed il verde che ne circonda le colline.
Non è facile dare un’etichetta al mestiere di Barbara. Un rapido confronto tra le sue “skills” e i requisiti richiesti negli annunci di posti di lavoro vacanti nei teatri londinesi la qualificherebbe come una Theatre Executive Director; se non fosse che la compagnia teatrale della quale è socia, la Ippogrifo Produzioni, costituisce qualcosa di più di un singolo teatro.
Barbara, partiamo dalle tue origini, che non sono propriamente veronesi.
Il mio peregrinare si può ricondurre a pochi anni della mia infanzia. Padre veneziano, madre vicentina, nasco a Treviso per una sorta di confort zone ma trascorro buona parte della mia infanzia a Napoli a seguito del trasferimento forzato causa lavoro di mio padre. A tutti gli effetti Treviso rappresenta per me solo la casa dei miei nonni, quel luogo dove si parlava in dialetto e in cui mi si erano concesse particolari libertà, come ad esempio il piacere di mangiare il carciofo con le mani. Al contrario di Napoli, dove a casa si parlava italiano ed erano d’obbligo forchetta e coltello. Questa infanzia tra nord e sud mi ha portato a conoscere un universo culinario unico: non ci sarebbe stato altro modo per associare prelibatezze trevigiane come il radicchio o il cren con tutte le influenze culinarie delle regioni del Sud Italia.
Poi il trasferimento a Verona.
Sì, e l’università a Venezia, Facoltà di Lettere. Mi sono presa i miei tempi: esami dati molto velocemente per poi dedicare più di un anno e mezzo alla tesi. Ho vissuto intensamente ogni giorno di quel periodo perché sono sempre stata convinta che quei momenti potessero essere l’unico valore aggiunto di una facoltà che di per sé non mi preparava ad una professione vera e propria.
Era il periodo degli albori di Internet, un’epoca dove la connessione viaggiava ancora alla velocità di 56k e le tesi, quelle serie, erano il frutto di ricerche e spostamenti. Si girava per biblioteche a scovare libri che potevi consultare ma non portare a casa, immagini che potevi ammirare ma non far uscire o fotocopiare. Contemporaneamente ho anche compreso come non fossi fatta per la carriera universitaria. Non sarei mai stata in grado di vivere il resto della mia vita (e del mio lavoro) come un topo da biblioteca.
Nel periodo della tesi ho anche trovato lavoro, del tutto casualmente, per una società di selezione del personale all’epoca molto famosa su piazza. Non avevo una preparazione specifica e ho avuto l’opportunità di sperimentare tutte le attività nelle diverse sezioni. Alla fine mi sono identificata nella gestione di aziende clienti, con una particolare predilezione per l’e-commerce. Poi, quando nella mia vita personale è sopraggiunto il desiderio di avere dei figli, ho optato per una scelta che, pensavo, mi avrebbe portato ad una maggiore autonomia nella gestione degli orari. Ho cambiato lavoro, quindi, occupandomi di selezione del personale internamente ad un’altra azienda. Calata in una realtà dove l’unico obiettivo consisteva nella massimizzazione del profitto, senza alcuna attenzione a valorizzare le risorse umane, ho interrotto anche questo rapporto lavorativo.
Ricordando quel periodo mi viene in mente una scena di Pretty Woman dove il businessman interpretato da Richard Gere ad un certo punto del film, esclama «quando ero piccolo mi piaceva giocare con i Lego per costruire qualcosa. Ora da grande compro per poi distruggere». Ecco, quello è stato il momento nel quale mi sono chiesta cosa avrei voluto veramente fare da grande. Proprio in quegli anni frequentavo un corso di recitazione e vari laboratori teatrali. Li vivevo come una sorta di liberazione catartica, senza alcuna velleità professionale; nessun vezzo di voler diventare attrice.
A quando risale il tuo primo approccio al teatro e alla compagnia teatrale Ippogrifo?
Ho trascorso quasi due anni in stand by e in attesa dell’illuminazione ho fatto diversi lavori. Dalla gastronomia alla barista, dal call center alla gestione di un albergo.
Poi, e questi sono i casi della vita, mi capita di andare a vedere Amleto, portato in scena da una compagnia a me sconosciuta: Ippogrifo. Il regista, nonché attore e fondatore della Compagnia era Alberto Rizzi. La sua regia mi lasciò completamente a bocca aperta. E così è arrivata l’illuminazione che stavo aspettando. Volevo assolutamente lavorare con lui.
L’anno successivo nasce l’occasione di conoscere personalmente Alberto. E da quell’incontro parte quella sinergia professionale che dura tutt’ora con lui e con Chiara Mascalzoni, la terza socia di Ippogrifo.
«Però, quando la luce si accende e lo spettacolo inizia io mi sento partecipe del tutto, di ogni singolo passaggio. dall’allestimento alla locandina, dal light design alla prima battuta. tutto mi risuona: sono tutte cose che sento mie».
Come si delinea il tuo ruolo operativo in Ippogrifo Produzioni?
Prima del mio arrivo, Alberto, oltre a essere autore, attore e regista, si occupava anche della parte organizzativa e distributiva. Il mio ingresso in Ippogrifo ha portato un approccio ed un metodo di impostazione delle attività dettato dalle mie esperienze precedenti nel commerciale e nelle risorse umane: un connubio fondamentale, soprattutto quando si deve dialogare con enti ed istituzioni. Ma, ovviamente, i miei compiti non si esauriscono qui. Mi occupo quando possibile anche della parte tecnica, che adoro.
Monto, smonto, faccio e brigo come l’ultimo dei manovali. In alcuni spettacoli faccio la figurante, in altri recito in ruoli minori.
Però, quando la luce si accende e lo spettacolo inizia io mi sento partecipe del tutto, di ogni singolo passaggio. Dall’allestimento alla locandina, dal light design alla prima battuta. Tutto mi risuona: sono tutte cose che sento mie.
Tra i cambiamenti nella gestione imprenditoriale occorsi con il tuo arrivo in Ippogrifo, ne possiamo identificare uno in particolare?
Ho introdotto una nuova tipologia di spettacoli che definiamo come site-specific. Immaginiamo musei, biblioteche e luoghi non convenzionali come spazi e scenografie specifiche atti a far conoscere il mondo del teatro a chi non ci va abitualmente o non ci è mai andato. Questa formula, che comporta uno sforzo organizzativo notevole, porta soddisfazioni enormi.
Ad esempio, lo spettacolo Hotel Shakespeare ha portato al sold out in tutte le date. Lo stesso dicasi per la nuova produzione: Molto piacere, Casanova.
La scelta di adottare l’approccio site-specific ci ha permesso anche di consolidare un seguito di pubblico molto giovane. Credo che una delle caratteristiche che ci distinguono sia che facciamo un teatro cinematografico, capace di stupire. In teatro o nei luoghi non convezionali allo stesso modo. Non esiste uno spettacolo di Ippogrifo uguale all’altro per regia, per scelte musicali, per tipo di interpretazione e anche per location ma, d’altra parte, abbiamo una linea editoriale forte e chiarissima.
Non facciamo un teatro urlato. La linea editoriale di Ippogrifo Produzioni è molto semplice e diretta: noi ci riteniamo gli ultimi custodi della bellezza. Questo non vuol dire non parlare di temi attuali o non affrontare contenuti dai toni forti. Li affrontiamo però con grazia e buon gusto, se mi si passa il termine.
«se il nostro teatro vuole stupire e salvaguardare la bellezza, non esiste niente di meglio di un luogo sconosciuto che della bellezza è padrone e specchio stesso».
In quei progetti che definisci come site-specific c’è anche una volontà di recuperare luoghi dimenticati e farli rivivere?
Nel nostro vagabondare scopriamo luoghi abbandonati o sconosciuti ai più di incomparabile bellezza. Se ci sono le condizioni mettiamo in atto uno studio di valorizzazione e riqualificazione. Studiamo perché una nostra messinscena prenda totalmente in considerazione lo spazio nel quale veniamo accolti. Il tutto perché lo spazio diventi sia scenografia che fonte di energia per la rappresentazione teatrale. Perché, se il nostro teatro vuole stupire e salvaguardare la bellezza, non c’è niente di meglio di un luogo sconosciuto che della bellezza è padrone e specchio stesso.
La scelta di spazi storici o culturali abbandonati o trascurati, come Villa Spinola o Forte Santa Caterina (entrambi siti in Verona e provincia ndr.), nasce dal nostro desiderio di portare le “belle cose belle” in posti che sono già da considerarsi meravigliosi per la loro architettura e la loro storia. E, come nel caso della nostra rassegna Operaforte, agli artisti che ospitiamo in cartellone chiediamo di adattarsi allo stesso. Questa forma di rispetto verso il luogo storico che ci accoglie, associata ad una vicinanza reale al pubblico difficilmente realizzabile in teatro, ci permette di creare una nuova sinergia. Perché gli spettatori non sono solo fruitori, ma attori essi stessi di un evento unico e irripetibile.
Un aspetto che mi ha colpito da subito della vostra “mission” aziendale è quello di non richiedere contributi pubblici.
Esatto, Ippogrifo vive di ciò incassa dal prodotto del suo lavoro. La compagnia nasce con una linea editoriale specifica sulle tragedie greche e alcuni grandi classici. Con queste produzioni circuitiamo nelle rassegne teatrali di tutto il Nord Italia. Parallelamente realizziamo anche spettacoli di drammaturgia contemporanea. Abbiamo ad esempio dei progetti teatrali contro la violenza sulle donne o di celebrazione delle Giornata della Memoria e del Ricordo. Questi ultimi sono spettacoli che spesso vengono accolti direttamente dalle pubbliche amministrazioni, che siano esse piccole circoscrizioni o grandi comuni metropolitani.
Con tutta questa sovraesposizione lavorativa deduco che il tempo da dedicare a sé stessi sia limitato e per questo prezioso. Qual è il tuo rapporto con la casa ed il quartiere in cui hai deciso di stabilirti?
Valdonega, il quartiere dove ho scelto di vivere, ha due caratteristiche meravigliose. In primis è a due passi dal centro ma al tempo stesso ci troviamo in un’oasi naturale, in cinque minuti un sentiero ti permette di inoltrarti nei boschi e di percorrere tutto il colle.
In secondo luogo è un quartiere che, per così dire, non porta da nessuna parte: protetto dalle colline, isolato dal traffico, ripopolato nell’ultimo decennio da quella generazione di 35-40enni finisce che ci si conosce tutti. Vivi il quartiere, saluti le persone perché le conosci, alzi gli occhi e godi di una splendida vista sui colli delle Torricelle e su Castel San Pietro.
E poi la casa-tana. Tanto quanto sono sovra-esposta all’esterno con il mio lavoro, altrettanto casa mia è un rifugio di privacy e intimità. Ho bisogno di sentire le mie cose, spesso senza nessuno intorno. Così. Come dentro una bolla.
Barbara Baldo è socia ed Event Manager di Ippogrifo Produzioni
Articolo: Mauro Farina Shooting fotografico: Susanna Sfilio