Entrare nel locale di Aida Ashor equivale a trovarsi al centro di un set cinematografico, sfiorando la linea sottile tra genuinità e spettacolo, tra file di bicchieri, tazze e bicchierini da brandy perfettamente allineati in attesa di essere riempiti di storie. Aida Ashor è stata premiata come la migliore bartender in Romania nel 2014 e ventesima al mondo: un titolo conquistato durante il concorso internazionale Diageo Reserve Wolrd Class. Quello che era iniziato come una semplice ricerca di creatività e un desiderio continuo di manifestare il proprio sé attraverso il lavoro si è improvvisamente trasformato in pura passione.
Per lei, il bancone del bar è diventato come lo studio di un pittore e il bartending come la sintesi di una conversazione perfetta, quella in cui gli ospiti rivelano le loro attitudini, la loro personalità e il loro stato d’animo, e i baristi rispondono loro, con i cocktail che creano.
Aida, il tuo curriculum parla di una laurea in comunicazione e pubbliche relazioni, passando poi per diversi flirt con il mondo della pittura e della fotografia, per finire con una carriera nel bartending. Quanto hanno contribuito tutte le tue esperienze al tuo attuale successo?
Il bartending è un’arte. Prima di tutto perché i barman si esprimono attraverso i drink e in secondo luogo perché il bartending integra tutti i nostri sensi, come succede nell’arte in genere. Si tratta di un mix di elementi visivi, di idee, di storia, di fotografia, di sapori e di tecniche, armoniosamente amalgamato in un sorprendente «collage». Mi considero molto fortunata ad essere passata attraverso diversi percorsi artistici fino ad oggi. La mia passione per l’arte è iniziata a scuola, quando ho scoperto la bellezza della scrittura. Ho amato (e amo ancora) i saggi di scrittura e le poesie, così come la possibilità di esprimermi attraverso le parole.
«Il bartending è un’arte. Prima di tutto perché i barman si esprimono attraverso i drink e in secondo luogo perchè il bartending integra tutti i nostri sensi, come succede nell’arte in genere».
Trovo la scrittura molto importante e utile anche nel mondo del bartending, perché costituisce un ottimo modo per “vestire” un drink. Amo scrivere personalmente le descrizioni dei cocktail, perché mi permette di raccontare cosa mi ha ispirato nel realizzarlo. Dopo la scrittura ho scoperto la fotografia, solo pochi anni più tardi. Ho ricevuto in regalo una macchina fotografica e ho iniziato a giocare con lei, scoprendo un mondo completamente nuovo. La fotografia è il mio modo di percepire il mondo intorno a me: quando premo il pulsante sulla fotocamera mi sento come una bambina alla ricerca di un regno segreto, misterioso e meraviglioso allo stesso tempo!
E in quel momento una nuova avventura ha avuto inizio. Ho preso la macchina fotografica, mi sono nascosta dietro di essa e ho iniziato a giocare con i diversi strati della realtà, fotografando paesaggi, nudi, oggetti, persone. Mi sono trovata in una diversa prospettiva di vedere la vita. Ho frequentato dei corsi e dopo tre anni di studi ho scoperto che questo bel modo di percepire il mondo era per me più un nascondere e non vivere il momento presente. Non ho potuto godere della mia vita al massimo, perché ero impegnata a catturare momenti.
È stata una grande esperienza e, per come la vedo io ora, mi ha aiutato molto nella creazione dei cocktail. Tre anni di passione per la fotografia mi hanno donato una prospettiva migliore su come scattare una foto di una bevanda, come utilizzare la luce, come esprimere lo stato d’animo di un cocktail.
Oggi fotografo ancora e mi piace giocare con le luci, gli umori, le prospettive, l’editing. Mi piace collaborare con i fotografi e anche questo rappresenta un momento speciale per me: è un mix tra creatività e ispirazione che mi permette di esprimere l’anima del mio drink. Così, quando lavoro con qualcuno che fotografa i miei cocktail, mi piace “spogliare” i miei drink: al fotografo racconto cosa mi ha ispirato. In questo modo lo metto in grado di fondere la mia idea con la sua percezione, per consegnare correttamente il messaggio.
«E in quel momento una nuova avventura ha avuto inizio. Ho preso la macchina fotografica, mi sono nascosta dietro di essa e ho iniziato a giocare con i diversi strati della realtà fotografando paesaggi, nudi, oggetti, persone. Mi sono trovata in una diversa prospettiva di vedere la vita».
Trovi che il tuo background nella comunicazione e nelle p.r ti sia di aiuto nel tuo lavoro dietro al bancone di un bar, soprattutto di fronte a un pubblico che si compone di partecipanti più che di meri clienti?
Il bartending rappresenta per me molto di più che stare dietro ad un bancone: costituisce tutto quello che faccio dal momento in cui apro gli occhi al mattino fino a quando li chiudo la sera. È il contesto da cui prendo ispirazione, dove rappresento me stessa. A volte mi pare che tutto quello che ho fatto fino ad ora sia un puzzle e tutti i pezzi si siano riuniti formando questa passione. Gli studi di comunicazione e marketing mi hanno aperto gli occhi e dato una grande varietà di strumenti. Sono in grado di scegliere quelli che più si adattano caso per caso: dal modo di scrivere la descrizione di un drink o di un menù di cocktail, a come accolgo gli ospiti nel mio mondo.
Ma stare dietro il bancone è la vera sfida e rappresenta la parte più bella. Mi sento come se fossi il direttore del mio film e gli ospiti il mio pubblico. Le mie mani si trasformano in strumenti e gli ingredienti sono la mia volontà che mette tutto in movimento. E, proprio come in ogni viaggio, ogni dettaglio conta, dalla partenza fino alla destinazione. Il viaggio inizia quando l’ospite entra nel mio bar.
L’atmosfera, la musica, l’accoglienza sono tutti elementi importanti, ma fino al momento in cui incontra il barista, il gioco lo dirige ancora l’avventore. L’idea è quella di prendere il possesso di questo gioco, e questo può essere fatto solo attraverso i mezzi di comunicazione: il modo di salutare li invita al bar, il modo in cui si avvia la conversazione, la comprensione dei segnali non verbali. E poi è quando iniziano a fidarsi di me per farsi preparare da bere che il viaggio inizia davvero. E che viaggio! Questa è la parte più importante.
Cosa ti ha portato a stabilirti a Cluj e in che modo ti ispira questa città?
Mi innamorai di Cluj undici anni fa, quando misi piede per la prima volta in questa città. Venni qui per un festival musicale e trovai in queste strade qualcosa di magico. Gli edifici, le persone e il loro modo lento di parlare, la loro gentilezza e il fascino bohémien della città. Dissi tra me e me che avrei dovuto venire a vivere qui prima o poi: cosa che è avvenuta undici anni e tre città più tardi. Non sarei mai stata in grado di vivere sempre nello stesso posto, mi sarei sentita rinchiusa nella gabbia delle mie abitudini. Ho bisogno di ricominciare da capo, per iniziare un nuovo cammino. Perché cambiare frequentemente città permette di incontrare altre belle persone, lavorare in locali nuovi, scoprire il modo in cui gli autoctoni parlano e vivono.
Ho vissuto a Iasi per un lungo periodo di tempo fino al giorno in cui ho trovato il coraggio di lasciare il mio nido. Mi sono trasferita a Bucarest a lavorare per «Flair Angel», il cocktail bar di proprietà di una delle migliori e più famose agenzie di bartending in Romania, la Bar Solutions. E lì mi sono veramente innamorata di questo mondo. È stato come tornare a scuola, per me, ho imparato tante cose e ho iniziato a esprimere me stessa in questo bellissimo campo.
Dopo aver capito che anche quella tappa poteva dirsi conclusa, mi sono trasferita a Brasov nel periodo che ha coinciso con la mia vittoria al World Class Bartending.
Poi un giorno, mentre mi trovavo a Cluj per una lezione, ho avuto modo di scoprire la scena nottura di questa città e l’ho trovata sorprendente. Ho trovato tantissimi cocktail bar e una grande comunità di appassionati baristi che mi ha fatto venire voglia di trasferirmi qui e di essere parte di essa. È stata la decisione più giusta che potessi prendere! Cluj è come una grande galleria d’arte e i bar sono come delle mostre piene di opere realizzate da ottimi barman.
Quanto conta l’ambiente e la città in cui vivi in termini di ispirazione per la tua creatività? Ti descriveresti come emotivamente connessa ad un determinato ambiente o preferisci viaggiare per il mondo?
Per me viaggiare è più di una passione, è un modo di vivere. E per viaggiare non intendo vedere il mondo attraverso gli occhi di un turista, ma piuttosto vivere come la gente del luogo, entrando a farne parte, acquistando nei negozi dove loro acquistano come se fosse la mia città natale. Un po’ come mangiare tutta una torta invece di prenderne solo un morso. Il viaggio è l’unica attività in grado di ispirarmi maggiormente rispetto a quando dipingo, fotografo, scrivo o creo dei cocktail. Come ho detto prima, non riesco a stabilirmi definitivamente in un luogo, sarebbe come costruire una gabbia e non importa quanto grande, bella o accogliente sia: sarà pur sempre una gabbia!
«Per me viaggiare è più di una passione, è un modo di vivere. E per viaggiare non intendo vedere il mondo attraverso gli occhi di un turista, ma piuttosto vivere come la gente del posto, entrando a far parte del luogo, acquistando nei negozi dove loro acquistano come se fosse la mia città natale».
Non mi vedo legata ad un unico luogo, invece mi sento più come una barista del mondo, mixando per tutto l’universo, se solo fosse possibile. Mixando un drink qui e uno là, traendo ispirazione da ogni luogo, lavorando in diversi posti, utilizzando gli ingredienti locali di ogni paese che visito, è come comunicare con le persone attraverso la stessa lingua: i nostri sensi.
Quali sono I dettagli che ti hanno fatto innamorare del bartending? Cosa rende un drink speciale per te?
Nella mia vita mi sono sempre sforzata, almeno da quando io ricordi, di esprimere la ma personalità e dimostrarla prima di tutto a me stessa. Dopo una lunga ricerca e solo quando tutti intorno a me pensavano che sarei passata continuamente da un’attività all’altra senza sceglierne una definitiva, ho scoperto il bartending e capito come fosse la disciplina in grado di abbracciare tutto ciò che prediligo: la storia, l’arte visiva, lo studio, la scrittura, la comunicazione.
Avevo trovato qualcosa da fare che mi piaceva talmente tanto da non considerarlo un lavoro. In realtà fare la barlady non è un lavoro, è una gioia.
Un drink speciale per me rappresenta il modo giusto per connettersi con il prossimo. Quando un cliente entra nel locale e chiede un drink, inizio a porre domande come: «Come è stata la tua giornata?», «Come va l’umore oggi?», «Dimmi una stagione che pensi ti possa rappresentare maggiormente», «Qual è stata la tua vacanza preferita?». Rispondendo a queste domande mi danno un indizio su ciò che a loro piace e, soprattutto, si aprono e si rivelano davanti a me.
«Se mai sarò proprietaria di un locale non vorrei mai avere una lista di drink, ma punterei sull’interazione tra i barman e i clienti. Un po’ come avere una finestra di dialogo: gli ospiti parlano dei loro sentimenti, le loro passioni, la loro personalità e i barman rispondono attraverso i cocktail che sono in grado di creare».
Mi piace lavorare senza un menù. Se mai sarò proprietaria di un locale non vorrei mai avere una lista di drink, ma punterei sull’interazione tra i barman e i clienti. Un po’ come avere una finestra di dialogo: gli ospiti parlano dei loro sentimenti, le loro passioni, la loro personalità e i barman rispondono attraverso i cocktail che sono in grado di creare.
Cosa ti ispira di più quando si tratta di scegliere gli ingredienti di un drink? E cosa ti porta a scegliere una spezia, un aroma, o un profumo specifico?
I miei ospiti sono i miei ispiratori quando scelgo gli ingredienti per un cocktail. Mi piace andare in diversi negozi per cercare bicchieri, accessori e ingredienti per giocare con loro e creare qualcosa quando arriva il momento di mixare. Quando faccio un drink mi sento come se il tutto fosse collegato, come se avessi davanti a me tutti i pezzi di un puzzle.
Pensa ad un drink che possa rappresentarti. Che cosa ti prepareresti?
I miei preferiti sono la tequila e il rum. La tequila rappresenta una sorta di primo amore, mentre il rum lo paragono ad un rapporto maturo, quando si cresce e si comincia a capire la vita. Mi piace anche l’aceto balsamico, in un drink. Se dovessi scegliere gli ingredienti per farmi un cocktail, opterei per il rum El Dorado (il mio preferito), aceto balsamico, amarene e tartufo. Lo riassumerei così: penso ad un drink come un uccello in gabbia. Un giorno la gabbia cade dall’albero e la porticina si apre: l’uccellino prova un’esplosione di paura, felicità, incertezza e gioia in tutto il suo piccolo corpo; lascia la gabbia al fine di rendere il mondo intero il suo nuovo habitat. I tartufi che si trovano sotto terra e che danno quel sapore metallico, le amarene dal gusto e dal sapore intenso sono lì a rappresentare l’albero che l’uccello ha lasciato. L’albero è un simbolo della stretta connessione tra il passato e il futuro, la terra e il cielo. Questa è una storia che mi ricorda sempre di chi sono e qual è il mio percorso.
Essere creativi significa essere appassionati di vita e desiderosi di continuare ad appassionarsi a cose che fanno sognare. Come vedi il tuo percorso di crescita personale nel futuro prossimo?
La mia idea di bartending è legata alla libertà di espressione e alla creatività. Grazie al bartending vorrei aprire gli occhi della gente e far loro vedere la bellezza della vita. Vorrei che i baristi, gli ospiti, gli amici, tutti coloro che mi circondano possano capire che la vita non è una gabbia in uno zoo, ma un incredibile regalo che abbiamo a disposizione.
Vorrei essere motivo d’ispirazione, facendo capire che per essere felici è necessario fare che le cose che si amano. Nel mio caso, come mi sento ha un valore fondamentale rispetto a quello che faccio. Avrei potuto occuparmi di musica, pittura, fotografia o qualsiasi altra attività se il risultato fosse stato lo stesso: sentirmi libera e felice esprimendo la mia gioia di vivere.
Intervista: Dana Buhnea Shooting fotografico: Amalia Pop