Milena Mancini è un’attrice, ma soprattutto ballerina di successo. Ha lavorato con i maggiori artisti internazionali prima di dedicarsi alla carriera di attrice e alla famiglia (ha sposato l’attore Vinicio Marchioni). Scopriamo la sua storia.
Milena Mancini ha occhi che raccontano tanto di lei: profondi, decisi, capaci di svelare qualcosa di più di molte parole. Occhi perfetti per sostenere una platea di sguardi mentre si recita su un palco del teatro, ad esempio. Teatro che, insieme a grande e piccolo schermo, è ormai parte integrante del secondo tempo della sua carriera lavorativa.
Milena Mancini contiene moltitudini: ballerina, attrice, madre, moglie, donna. Romana di nascita, si diploma presso il Balletto di Danza di Roma coronando una passione coltivata fin da giovanissima: entra a far parte del corpo di ballo di alcune delle principali trasmissioni della televisione italiana per poi trasferirsi a Londra in cerca di un approdo internazionale. Viene selezionata come ballerina per videoclip e tour di star internazionali del calibro di Kylie Minogue, Robbie Williams, Geri Halliwell e Ricky Martin. Il biennio 2003 – 2004 segna poi il suo passaggio al grande e piccolo schermo.
Dal 2011 è sposata con l’attore Vinicio Marchioni, conosciuto durante i provini della serie Romanzo Criminale e con il quale condivide vita e progetti lavorativi. Il nostro incontro è coinciso con la tappa bolognese al teatro Duse della tournee de “Uno Zio Vanja”, riadattamento in chiave moderna dell’opera di Čechov diretto e interpretato da suo marito e che vede come protagonista, tra gli altri, anche Francesco Montanari.
Dopo anni trascorsi a fare la mamma (è madre di due bambini) Milena Mancini è tornata a fare il mestiere che ama, l’attrice. Ma il racconto della sua vita non poteva che iniziare dalla sua prima passione.
MiIena, i tuoi primissimi passi nell’arte sono stati quelli nel mondo della danza, nel quale hai costruito una carriera importante lavorando con artisti di calibro internazionale. Quanto è stato complicato costruire il tuo percorso?
La possibilità di emergere nella danza si fonda su parametri molto diversi rispetto alla recitazione. Le audizioni sono pubbliche e c’è una valutazione oggettiva delle capacità che possono essere obiettivamente più funzionali ad un progetto. Se, ad esempio, serve una ballerina tecnica e tu sei una ballerina con un’eccellente padronanza della tecnica, esistono tutti i presupposti per essere scelta nell’audizione.
Ovviamente la tecnica non è l’unica discriminante: la scelta avviene anche e soprattutto in base ad altri fattori come, ad esempio, la fisicità e la capacità di esprimersi. Per spiegarmi meglio, la volta in cui venni selezionata per far parte del corpo di ballo di Kylie Minogue, i criteri di scelta si fondarono sia sull’altezza delle ballerine che sulla fisicità ed anche il colore dei capelli era considerato una discriminante per ottenere o meno quel ruolo.
«Dopo diversi anni di attività nei corpi di ballo avevo raggiunto un livello di padronanza del mio corpo molto elevato e ho sentito il bisogno di esprimermi tramite un altro medium artistico. Decisi quindi di iniziare a seguire corsi di recitazione e dizione per imparare a dare la giusta voce a quel corpo che conoscevo già nei minimi dettagli. Così, poco alla volta, ho iniziato a fare dei provini e a lavorare come attrice». Milena Mancini
In quale momento della tua carriera c’è stato quel cambiamento che ha portato ad ampliare la prospettiva artistica includendo nella tua vita la recitazione?
Dopo diversi anni di attività nei corpi di ballo avevo raggiunto un livello di padronanza del mio corpo molto elevato e ho sentito il bisogno di esprimermi tramite un altro medium artistico. Decisi quindi di iniziare a seguire corsi di recitazione e dizione per imparare a dare la giusta voce a quel corpo che conoscevo già nei minimi dettagli. Così, poco alla volta, ho iniziato a fare dei provini e a lavorare come attrice.
Nel mio percorso di studi, in uno dei laboratori a cui partecipavo, ho incontrato Bernard Hiller, già coach di attrici come Jodie Foster e Michelle Pfeiffer, e ho seguito i suoi corsi per tre mesi a Los Angeles per poi tornare in Italia.
Durante questo nuovo percorso ti sei mai scontrata con il pregiudizio di essere una ballerina con la voglia di diventare attrice?
Questo dipende molto dalle persone che incroci nel tuo cammino. Purtroppo capita anche di scontrarsi con chi si sofferma solo sull’esteriorità. Ho avuto una serie di incontri non fortunati che però mi hanno dato quell’esperienza che mi ha permesso di approdare a un’agenzia che effettivamente mi promuove per quella che sono: un’attrice che sa ballare, che scrive e che firma i costumi e le scenografie.
In Italia è molto complicato far capire che tipo di attrice puoi essere, mi sono perfino scontrata con chi mi suggeriva apertamente di omettere di dichiarare la mia precedente carriera di ballerina, proprio per paura di essere oggetto di quello che per me rappresenta soltanto un mero e inutile pregiudizio.
Proprio grazie a questo nuovo percorso artistico hai conosciuto tuo marito, Vinicio Marchioni. Avete avuto due splendidi figli e per loro hai deciso di lasciare le scene per quasi cinque anni. Cosa hai provato nel momento in cui hai deciso di tornare sulle scene?
In realtà durante gli anni passati con i miei figli non mi sono mai fermata del tutto. Ho avuto il tempo per studiare, ho potuto osservare e imparare. Un artista ha bisogno di questo e, a volte, a causa del lavoro non riesce a trovare lo spazio da dedicare a un progetto di crescita personale. Al ritorno sulle scene non mi sono mai preoccupata del cambiamento perché non c’è mai stato uno strappo tra la vita familiare e quella professionale. Fortunatamente con Vinicio ci alterniamo abbastanza bene e ci aiutiamo a vicenda.
C’è una frase che dico sempre ai miei figli quando esco: “Mamma va a lavorare, poi torna”. Considero il lavoro come quel periodo di tempo che mi prendo dai figli, ma non il contrario.
Dopo la tournee del 2017, quest’anno tu e Vinicio siete tornati in scena con “Uno zio Vanja”, adattamento dell’opera di Chekov, ambientato ai giorni nostri. Come mai questa scelta? Viviamo ancora in una società capace di riflettere le problematiche del passato?
La scelta di portare in scena un’opera di Chekov è stata fatta per un’ossessione di Vinicio. “Uno Zio Vanja” esprime le dinamiche umane e familiari che, per quanto si possa evolvere la società, restano comunque sempre le stesse anche nel corso dei secoli. Ciò che ci siamo permessi di fare, coadiuvati da Letizia Russo, è stato rendere più fruibile a livello vocale e di parola gli stessi concetti presenti nella versione originale, dove si parlava di una piantagione che non produce più. Oggi il concetto di una natura che si ribella lo possiamo ritrovare nei terremoti. Ne “Uno zio Vanja” c’è una giovane ragazza che porta con sé la speranza, la stessa speranza che troviamo nei giovani di oggi pur vivendo in questa società che pian piano stiamo lasciando. Eravamo consapevoli delle dinamiche molto forti insite in quest’opera, ma eravamo allo stesso tempo convinti che un linguaggio troppo anacronistico avrebbe creato un distacco incolmabile con il pubblico. Al contrario, noi volevamo comunicare l’immobilità dell’Italia di oggi, un’immobilità paragonabile a quella di due secoli fa raccontata da Čechov.
La cosa che ci ha confortato maggiormente è stata la risposta del pubblico, composto anche da tantissimi studenti e ragazzi under 35 venuti a teatro per la prima volta ad assistere a uno spettacolo il cui originale è un’opera immortale del teatro classico.
Ma Milena non è solo teatro, anzi, c’è tanto del cinema e della tv italiana. Come hai visto evolversi il cinema made in Italy? Siamo ancora in grado di generare prodotti di qualità?
Sono convinta che ci sia stata un’evoluzione in positivo. Abbiamo diversi giovani registi, come Stefano Lodovichi e i fratelli D’Innocenzo, di notevoli capacità e che sono estremamente apprezzati anche all’estero. Sì, posso affermare con sicurezza che oggi stiamo assistendo a una riscoperta dei registi italiani. C’è chi, come Sorrentino e Garrone, ha costituito un’avanguardia dietro alla quale è apparsa questa nuova leva di registi che secondo me ha un enorme potenziale, perché dotati di una visione più internazionale anche nella gestazione di tutte le fasi di produzione di un film.
In questa piccola avanguardia credo di aver dato un mio contributo come attrice: in questo momento sto aspettando che esca il film La Terra Dell’Abbastanza” dei fratelli D’Innocenzo, in cui ho lavorato, e segnalato al Festival di Berlino come uno dei 10 film di maggiore interesse della rassegna.
«Il fatto che a 40 anni io possa collaborare alla scrittura di un testo, essere interprete, firmare i costumi e le scenografie di un’opera è per me fonte di enorme soddisfazione. Tutto ciò che ho acquisito nel corso degli anni oggi mi è utile per poter fare nuovi progetti, Ma sono consapevole che ho ancora tanto, tanto da imparare». Milena Mancini
Milena, sei stata ballerina, poi attrice e insieme moglie e madre, con una personalità che lascia emergere una grande forza interiore e personalità. A distanza di vent’anni dai tuoi esordi, chi è ora Milena Mancini?
Mi vedo con lo stesso entusiasmo dei miei vent’anni, ma con molta più maturità. Accetto le cose che mi accadono con molta tranquillità e ho imparato a godermi il mio quotidiano. Considero la mia vita artistica un costante work in progress.
Il fatto che a quarnat’anni io possa collaborare alla scrittura di un testo, essere interprete, firmare i costumi e le scenografie di un’opera è per me fonte di enorme soddisfazione. Tutto ciò che ho acquisito nel corso degli anni oggi mi è utile per poter fare nuovi progetti, ma sono consapevole che ho ancora tanto, tanto da imparare.
Un passo alla volta, senza fretta.
Articolo: Fabrizio Vernice Shooting fotografico: Barbara Rigon
Abito: Blumarine
Styling: Sara Castelli Gattinara – Factory4