Giacomo Jack Ballarini è uno dei soci fondatori di Buns, la rinomata hamburgheria gourmet di Verona. In questa intervista ci ha spiegato perché un hamburger non è solo un hamburger.
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Giacomo “Jack” Ballarini non è semplicemente un ragazzo che ha aperto una hamburgheria. No, affatto. Jack appartiene di diritto a quella cerchia ristretta di persone capaci di creare contesti e situazioni partendo da una solida convinzione: il potere delle proprie radici. E avendo, grazie a esse, una storia vera da raccontare.
Lo si capisce dalla prima stretta di mano con lui, forte e genuina e dalla prefazione del menù di Buns, il suo locale a pochissimi passi (è proprio il caso di dirlo) dal Teatro Romano a Verona:
«Per scrivere questo menù sono serviti: 17 libri di cucina, 35 libri su Verona, 4 libri di poesia dialettale, 2 ricettari scritti a mano, 25 mappe storiche, 3 librerie, 1 biblioteca, 1 negozio di antiquariato, 6 aerei, 4 strade sbagliate, 3 cuochi, 1 nonna, 1 libraia felice, 1 appassionato di urbanistica, 1 maestra per vocazione, 1 bibliotecario con la cravatta, 7 consigli preziosi, 3 incontri fortuiti, una foresta».
«studiavo decine di ricette diverse, sperimentavo la produzione casalinga del pane, passavo le giornate in giro per macellerie a selezionare la carne migliore». JACK BALLARINI
Nato e cresciuto in Valpolicella, una laurea in Linguaggio dei media nel corso di laurea di Giornalismo e comunicazione all’Università Cattolica a Milano, Jack Ballarini si avvicina alla fotografia durante gli studi. Una passione, questa, che coniugata al suo background universitario non tarda a manifestarsi in un percorso che definisce come «di storytelling multimediale. Ho iniziato realizzando uno stop motion sulla preparazione di una pasta alla carbonara ispirandomi ai videogiochi arcade degli anni ’80. Lo girai, senza grandi velleità, ad un web magazine e per tutta risposta ricevetti un loro invito ad avviare una collaborazione». Da quel momento Jack Ballarini ha alternato collaborazioni come fotografo e videomaker con il suo impiego di content editor per i social media nel team di Vinitaly International: anche questo solo un intermezzo prima di giungere a Buns.
«In quel periodo organizzavo spesso delle cene a casa mia. Avevo sviluppato un ossessione per gli hamburger gourmet al punto tale da essermi fatto una cultura importante sul tema: studiavo decine di ricette diverse, sperimentavo la produzione casalinga del pane, passavo le giornate in giro per macellerie a selezionare la carne migliore. In una di queste cene ospitai un gruppo di amici ai quali ero legato non solo da un’amicizia duratura ma anche da una lunga collaborazione lavorativa.
Neanche a farlo apposta mi proposero di unire le forze e le competenze per aprire quello che oggi è Buns: da quella famosa cena al giorno dell’inaugurazione nel giugno 2014 passò appena un anno». Un hamburgheria, quella aperta da Jack e amici, che ha un unico comune denominatore: «volevamo creare un luogo fondato su un amore viscerale non solo per la cucina, ma anche per la nostra città e il nostro territorio, senza compromesso alcuno. Per farlo siamo andati anche a recuperare vecchie ricette tradizionali ormai dimenticate. Tante di queste provengono direttamente dai ricettari di due generazioni della mia famiglia, ma non solo.
«Noi facciamo hamburger e li facciamo bene. Li realizziamo attraverso ricette tradizionali o addirittura rurali, andando talvolta anche a recuperare le erbe di campo, recuperando insomma tutta la tradizione povera: quella dei miei e nostri nonni che non smettono ancora di insegnarmi qualcosa a tal proposito». JACK BALLARINI
Recuperare ricette, sapori e tradizioni così legati al nostro territorio mi permette anche di utilizzare tutte le mie conoscenze nell’ambito della comunicazione e dello storytelling che ho maturato nelle mie attività di creativo, costruendo un racconto a supporto dell’anima vera di un locale come è Buns».
Il perché è presto detto.
«Noi facciamo hamburger e li facciamo bene. Li realizziamo attraverso ricette tradizionali o addirittura rurali, andando talvolta anche a recuperare le erbe di campo, recuperando insomma tutta la tradizione povera: quella dei miei e nostri nonni che non smettono ancora di insegnarmi qualcosa a tal proposito, quella della campagna e della montagna veronese i cui tutto quello che veniva dalla terra era buono e poteva essere utilizzato in cucina. E che cucina: posso citarti oltre una ventina di piatti cucinati da mia nonna che sono imbattibili e che io non riuscirò mai a replicare nella loro bontà. Io vengo da una famiglia in cui c’è sempre stato l’orto, i conigli, le galline. Uno zucchino del nostro orto non è comparabile per sapore e consistenza a quello di un supermercato».
«E anche per questo motivo andiamo a cercarci i prodotti di eccellenza: come i formaggi, per la cui scelta ci affidiamo a Giuseppe Bernardinelli, che io ritengo la dimostrazione vivente di come la passione si possa applicare alla conoscenza. Non posso non considerare Giuseppe come uno dei miei maestri in questo campo. E, accanto ai prodotti, non posso non citare anche le persone d’eccellenza: come Ada Ferrarini, cuoca dell’Enoteca della Valpolicella, una delle pochissime che ancora realizza la pasta fatta in casa per il suo ristorante. Da lei ho imparato cosa vuol dire amare veramente un territorio».
Una cucina, quella di Buns, che si fonda sull’amore per il territorio non trascurando però le contaminazioni.
«Tutto ciò che inseriamo nel nostro menù è il risultato di ispirazioni: dalla ricetta di mia nonna al petto d’anatra che fa Ada, dal cibo di strada fino al piatto assaggiato in un ristorante stellato. Tutti i piatti che ho provato durante i miei viaggi in paesi come Germania, Francia, California o Hong Kong, solo per fare un esempio, possono ispirarmi. Io scrivo e fotografo di tutto, ne porto memoria e cerco di ricreare le sensazioni incredibili che ho provato assaggiando quelle pietanze cercando di renderle “veronesi”. Per fare un esempio, la spennellata di hummus che funge da semibase a un piatto presente nel nostro brunch è un omaggio a un minuscolo banchetto libanese di falafel che ho avuto occasione di provare a Berlino».
«Non mi concedo il limite di essere un hamburgheria veronese. Giochiamo con i colori, i sapori e le consistenze dando la stessa attenzione che si riserva a un piatto stellato. Perché l’hamburger, oggi, è la nostra vita».
Articolo: Mauro Farina Shooting fotografico: Stefano Tambalo