Abbiamo conosciuto Max Dedo, il trombonista di Max Gazzè ma, soprattutto, il cantante di “Inverno Maledetto”. Abbiamo scoperto un musicista impegnato, non solo nella musica.
Si dice che dietro a un grande uomo ci sia sempre una grande donna. Penso sia vero, ma non mi piace generalizzare. Di certo dietro a un grande artista ci sono sempre dei grandi musicisti e in questo caso il “dietro” è letterale e la dimostrazione tangibile. A pensarci bene un po’ si è persa quell’idea di band che, fra jazz e rock, ti faceva sciorinare nomi e storie di tutti i componenti sulle dita delle mano decantando le caratteristiche di ognuno per poi ammettere che senza l’uno o l’altro non staremmo nemmeno qui a parlarne. Un po’ in sordina, però, quell’alchimia fra musicisti si innesca ancora e anche fra le cosiddette pop star – internazionali e nostrane – che sempre sentiamo alla radio.
Da Ligabue e Mengoni, da Jovanotti a Max Gazzè, possono tutti contare su artisti di tutto rispetto, bravi nell’esaltare i progetti altrui e ancor più nel curare i loro piccoli album che girano la scena indipendente. Proprio dal dietro le quinte di Max Gazzè abbiamo scoperto Dedo, che potremmo dire “il suo trombonista”, ma che preferiamo definire “il cantante di Inverno maledetto”.
La tua presentazione cita “Max Dedo, cantautore e polistrumentista”, ma come si diventa tale? Per amore incondizionato verso la musica o per la volontà di non fermarsi all’espressione di un solo strumento?
Ho iniziato gli studi di trombone all’età di dieci anni e quasi subito ho sentito il trasporto verso qualsiasi altro strumento musicale. Durante gli studi in Conservatorio ero fortemente attratto dal pianoforte e dalla chitarra e durante le pause cercavo di trovare sonorità che con il trombone non riuscivo a mettere a fuoco.
Mi viene in mente una citazione di A. Shonberg “Il contenuto dell’anima di un artista si espande in tutte le direzioni e nel momento in cui ha raggiunto un certo grado interiore, la forma esteriore si pone a disposizione dell’intimo valore di questo grado”.
Sei appena tornato dal tour mondiale con Max Gazzè negli Stati Uniti e in Asia. Cosa si prova a fare musica italiana agli antipodi dell’Italia?
È stato un tour molto fortunato e allo stesso tempo esaltante. Ho rivisto con piacere luoghi in cui avevo già suonato in passato come Boston e Los Angeles e città in cui ho sognato di suonare come Tokio, New York e Shanghai.
Sicuramente suonare in Asia è stata un’emozione diversa perché, oltre agli italiani che abbiamo trovato in tutte le altre città, c’erano molti stranieri che ci seguivano e che cantavano molte canzoni con noi.
Ti senti un musicista diverso ora?
Sicuramente mi sento arricchito soprattutto dagli incontri e dalle meraviglie che ho visto.
Ora, però, ti dedicherai al tour del tuo progetto. Com’è lo stile Max Dedo?
II mio stile è un “non stile” nel senso che non ho dei canoni da rispettare, non sono mainstream e non mi interessa seguire schemi di alcun tipo: seguo l’istinto e scrivo musica dal profondo del cuore.
Le tracce del tuo album Cuore Elettroacustico raccontano la tua visione preoccupata e controversa sul progresso tecnologico e sul “sentirsi soffocato” da un futuro inarrestabile. Se potessi fermare il tempo e scendere un attimo, cosa vorresti portare con te prima di risalire e affrontare questo vorticoso viaggio?
Mi preoccupa il futuro tecnologico laddove l’uomo, con le sue debolezze ed imperfezioni, rischia di essere fagocitato. Ma allo stesso tempo penso che la musica e l’amore possano davvero salvarci.
Massimo MAX Dedo: «II mio stile è un “non stile” nel senso che non ho dei canoni da rispettare, non sono mainstream e non mi interessa seguire schemi di alcun tipo, seguo l’istinto e scrivo musica dal profondo del cuore».
Mi piacerebbe molto tornare ai tempi in cui ascoltavamo musica con calma, ascoltando i testi, assaporando attimo per attimo le note eseguite dai musicisti e leggendo i libretti per scoprire i nomi di chi ha suonato o scritto la musica.
“Cuore Elettroacustico” è il tuo quarto album. Cosa hai imparato dagli altri tre che qui possiamo ritrovare e cosa c’è di inaspettato in questo progetto?
Ogni album ha una vita propria e solitamente non ascolto quasi mai i precedenti album. Penso comunque che Cuore Elettroacustico sia diverso dagli altri per l’impegno sociale e la qualità tecnica raggiunta cercando di curare al massimo i particolari.
Hai collaborato con Elio e le Storie Tese, Max Gazzè, Daniele Silvestri, Raf, Niccolò Fabi, Nicola Piovani, Mario Venuti, Arisa, Cristiano De Andrè, Fabrizio Moro, Bandabardò. È difficile portarsi nel curriculum nomi così importanti della musica italiana oppure è qualcosa che ti solleva l’animo? Ti senti simile a qualcuno?
Aver registrato e collaborato con tanti artisti diversi mi ha aiutato a capire meglio quello che voglio fare. Da ognuno di loro ho appreso molte cose e ho capito che dietro il successo di questi artisti c’è sempre una grande professionalità e conoscenza della musica. Penso di avere affinità con molti degli artisti con cui ho collaborato.
Ti elenco alcuni aggettivi che sono stati usati nelle recensioni che hanno raccontato “Cuore Elettroacustico”: vitale, intelligente, cinico, smaliziato. Si sta parlando del disco o dalla musica traspare anche un po’ della tua personalità?
In Cuore Elettroacustico c’è sicuramente vitalità, non penso ci sia cinismo e sicuramente c’è molta protesta e molto amore per la vita. Affronto anche temi sociali e parlo molto di Tv come nel brano “Resta sul divano” in cui sottolineo che la tv è un mezzo di ottundimento di massa.
Massimo MAX Dedo: «Nelle mie canzoni sento il dovere di parlare dei problemi del paese e nel mio piccolo cerco di far capire a mio figlio il motivo per cui è importante fare la differenziata, rispettare tutti allo stesso modo, non avere paura dello straniero e aver cura e rispetto del pianeta».
Se il futuro che si prospetta all’orizzonte non ti affascina come lo vorresti? E cosa farai per raggiungerlo?
Mi preoccupa molto il futuro nel mio Paese, oggi siamo bombardati da distrazioni di ogni genere, sostanze e condizioni create per trasformare il modo in cui interpretiamo e percepiamo la realtà. Penso ci sia una profonda crisi di valori mista ad una insofferenza generale diffusa.
Nelle mie canzoni sento il dovere di parlare dei problemi del Paese e nel mio piccolo cerco di far capire a mio figlio il motivo per cui è importante fare la differenziata, rispettare tutti allo stesso modo, non avere paura dello straniero e aver cura e rispetto del pianeta.
Shooting fotografico: Leonardo Kurtz e Serena Manfredini