«Senza emozioni il tempo è solo un orologio che fa tic-tac». È questa la frase che ho scelto come incipit per iniziare quest’articolo. Non solo perché la si può leggere nell’ultimo post pubblicato da Francesca Casadei, la nostra creativa di oggi, nel suo blog.Ma anche perché racchiude in poche parole ciò che lei va cercando nella vita. Emozioni che scaturiscono da un percorso fatto di cambiamenti, di sfide dettate dalla curiosità, di voglia di uscire da una confort zone rassicurante ma al contempo noiosa.
Francesca Casadei racchiude moltitudini: è una “mezzosangue” (sua definizione harrypotteriana per descriversi come figlia di padre italiano e madre inglese), una blogger, una digital strategist, una nerd, un’appassionata di Star Wars, una “wannabe” runner. In qualunque campo lei si cimenti concentra tutte le sue forze senza paura di cambiare sé stessa o di perdere di vista la volontà di capire a fondo le cose.
La nostra curiosità per raccontare la sua storia ci ha portato ad andare a trovarla nella sua casa di Cesano Maderno, alle porte di Milano.
Grazie Francesca per aver raccolto il nostro invito e aperto le porte di casa tua. Sarei molto felice di iniziare questa nostra chiacchierata parlando dei tuoi esordi nel mondo della comunicazione e, più propriamente, dei social network.
Ho sempre avuto due passioni che sono poi riuscita trasformare nella mia professione: quella per la comunicazione e quella per il cosiddetto mondo “social”. Ho lavorato a questa unione fin dai tempi dell’università, dove ho studiato marketing e comunicazione con un master successivo in management della comunicazione digitale.
Finito il periodo universitario è iniziato il mio percorso lavorativo seguendo il mito delle grandi agenzie di comunicazione, percorso che ha avuto inizio più o meno dieci anni fa. Ho iniziato come account: una posizione che ti pone come intermediario tra il cliente ed il team creativo che si occupa di realizzare le campagne di comunicazione. Non mi ci volle molto tempo per capire che questo ruolo non era fatto per me perché non avevo la possibilità di entrare nel cuore dei progetti. Il vantaggio di possedere un’ottima padronanza della lingua inglese mi aveva portato a seguire clienti stranieri, alcuni dei quali molto importanti, ma il mio compito si limitava a declinare ai miei interlocutori solamente la creatività altrui.
Per questo decisi di cambiare agenzia e ruolo diventando una Project Manager. L’ho considerato da subito un piccolo passo avanti perché percepivo la sensazione di un coinvolgimento maggiore nei progetti che dovevo gestire. Ben presto però mi accorsi che ancora non potevo dirmi soddisfatta: mi mancava capire il perché delle cose, il pensiero strategico alla base delle decisioni che portano a definire un progetto e a realizzare una campagna di comunicazione. Per come sono fatta di indole, ho un estremo bisogno di pensare, e di approfondire tutto ciò che può determinare un’azione.
«Ben presto però mi accorsi che ancora non potevo dirmi soddisfatta: mi mancava capire il perché delle cose, il pensiero strategico alla base delle decisioni che portano a definire un progetto e a realizzare una campagna di comunicazione. Per come sono fatta di indole, ho un estremo bisogno di pensare, e di approfondire tutto ciò che può determinare un’azione».
E quindi nuovo cambiamento, nuove responsabilità. Passai a lavorare per una media agency nel loro settore strategico e lì trovai la mia dimensione. È un lavoro che mi entusiasma maggiormente: lì la creatività è supportata da una consistente mole di dati sostanziali e le idee nascono dalle evidenze generate dall’analisi. La creatività fine a sé stessa non mi interessa, ho bisogno di pensare, di approfondire e di convincere in primis me stessa delle cose.
«La strategia mi piace perché è una sorta di gioco: si parte iniziando a delineare prima il quadro generale per iniziare a comprendere i meccanismi, si tenta di abbozzare le prime soluzioni fino a giungere ad un’illuminazione».
La strategia mi piace perché è una sorta di gioco: si parte iniziando a delineare prima il quadro generale per iniziare a comprendere i meccanismi, si tenta di abbozzare le prime soluzioni fino a giungere ad un’illuminazione. Se la consideriamo dal punto di vista ludico lavorare nel settore strategico può avere aspetti estremamente divertenti.
In questa cornice di approccio strategico alla comunicazione come si pone lo storytelling?
Lo storytelling non può avere un ruolo marginale, al contrario. Rappresenta una parte fondamentale del nostro business perché una strategia deve essere raccontata: bisogna trovare un filo conduttore, essere in grado di affascinare i nostri interlocutori: le gare tra media agency per aggiudicarsi un brand si vincono anche appassionando il cliente ad una storia.
La tua attività di blogger ha avuto un percorso parallelo o contestuale al tuo lavoro?
Entrambe le cose. Mentre lavoravo come project manager ho avuto la necessità di trovare una naturale valvola di sfogo e non trovavo altre donne con cui parlare delle mie passioni: dal mondo digital ad alcuni aspetti decisamente più “nerd” come ad esempio la tecnologia e il mio amore per la saga di Star Wars. L’illuminazione me la diede un convegno dove era presente Mafe de Baggis, una blogger che seguivo da tempo. Del suo intervento mi ricordo ancora questo aneddoto: “la differenza tra un giornalista e un blogger sta nel fatto che il blogger scrive quando ha qualcosa di interessante da dire”.
Per mia indole personale non sono una dalla penna facile: tra le altre cose ho una discreta ansia dell’incipit. Ma la scrittura rappresenta per me una sorta di laboratorio. Inoltre, faccio sempre un check per capire se altri hanno scritto su un tema che voglio trattare, perché vorrei sempre scrivere un pensiero originale. Proprio per questo motivo forse scrivo poco e solo quando ho qualcosa da dire.
Tornando ai miei inizi da blogger aprii la mia prima piattaforma web nel giugno 2006. Da quel momento sono entrata in una sorta di grande circolo di persone a me affini, tra le quali non posso non annoverare le ragazze del gruppo milanese delle Girl Geek Dinners. Da ragazza nerd un po’ isolata senza grandi temi di conversazione a blogger felice di colloquiare con chi parlava la mia stessa lingua. Il lavoro, il running, le opinioni sulla saga di Star Wars e sulle serie televisive: da quel giorno il mondo social mi ha permesso di continuare a mettermi in discussione su temi nuovi e con persone totalmente diverse.
Questo aspetto, ovvero il fatto di non dovermi semplicemente accontentare delle persone che mi circondano, è diventata la mia filosofia di vita. A pensarci ora forse ora ho un po’ esagerato (ride, ndr.)
«il fatto di non dovermi semplicemente accontentare delle persone che mi circondano, è diventata la mia filosofia di vita».
Il blog e la mia attività social mi ha permesso di creare una sorta di rete di sicurezza: qualsiasi cosa io abbia voglia di fare, e in particolare quando io avverto il bisogno di uscire dalla mia confort zone, posso trovare sempre qualcuno a cui affidarmi. Per questo sarò sempre grata a me stessa per aver iniziato questa attività di blogger. Ognuno di noi cresce e si affida alle amicizie coltivate nel tempo. Ma accontentarsi sempre e solo su quanto c’è di sicuro nella vita per me rappresenta una noia mortale!
Nell’ambito della tua comunicazione e presenza da un punto di vista social, come riesci a esprimere le varie sfaccettature della tua personalità?
Faccio una doverosa premessa: non faccio o scrivo cose per cercare consenso: nel mio piccolo ho sempre ottenuto un certo seguito alle mie iniziative. Le idee che cerco di esprimere devono essere originali e stimolanti, in primo luogo per me. Ho il vantaggio di non faticare nel passaggio da uno stile di comunicazione ad un altro. E ho anche le idee molto chiare su quando dire basta: se le cose iniziano a pesarmi smetto senza pensarci due volte. Così anche nel mio lavoro. Non ho paura dei cambiamenti.
In questi anni mi sono misurata in tante piccole e grandi attività: tra questi mi piace ricordare la mia rubrica “Nerd and The City” su Chooze.it. Una rubrica tutta al femminile, una serie di dieci articoli dove la mia audience era costituita da donne appassionate di videogames, saghe di fantascienza, desiderose di leggere un approccio diverso in un mondo prettamente maschile. È stato un progetto molto divertente, ma anche dalla durata ben delimitata.
Un altro esempio che mi piace sottolineare riguarda il mio approccio al mondo culinario: nel 2015 ho creato un blog tutto particolare. Per motivi di lavoro avevo coinvolto alcune blogger di Giallo Zafferano e ho voluto capire come si potesse realizzare e gestire una piattaforma blog sullo stesso tema. Non essendo assolutamente brava a cucinare ho preso la cosa da un diverso punto di vista: ho creato un blog di cucina per persone totalmente incapaci e che quando leggono un sito pieno di cuochi fenomenali si sentono come me, che mi viene la gocciolina d’ansia a mo’ di fumetto. Scelsi un nome molto azzeccato (CHEFaccio) e iniziai pubblicare ricette comuni a portata di chiunque, spiegandole in modo semplice e umano. Ad esempio, se su una ricetta scrivono di “fare la farina a fontana” mi chiedo perché sia così difficile invece scrivere “fare la farina lasciando un buco in mezzo”.
Gli specialisti social del mondo della cucina danno per scontati troppi aspetti che la gente normale non è in grado di capire. Ad esempio, nessuno dice mai quale pentola si debba usare. Ho scritto questo blog anche per spronarmi a cucinare e poi mi sono trovata ad avere molta più voglia di stare ai fornelli che di scrivere. Mi sono accorta di avere raggiunto il mio obiettivo intrinseco. E quindi, era già tempo di cambiare di nuovo.
Siamo ospiti in casa tua: tra i tanti oggetti che posso osservare nei vari ambienti spiccano, tra gli altri, moltissimi gadget raffiguranti personaggi della saga di Star Wars, mentre l’ingresso è arredato con una serie di fotografie realizzate da te: che ruolo hanno queste due passioni ben distinte nella tua vita?
La saga di Star Wars mi accompagna fin da bambina: una passione forse favorita dal fatto di essere cresciuta in compagnia di due fratelli, quindi abituata a vedere in televisione film e serie televisive da “maschiacci”. Solitamente la gente vede in Star Wars un solo aspetto: la parte di mera fantascienza legata a robot, astronavi ed effetti speciali, oppure la storia d’amore che si sviluppa nella serie. Per me è diverso: i significati e le interpretazioni variano a seconda delle fasi della vita. Da bambina ero affascinata dai robot e dalle navicelle che si vedevano sullo schermo. Nel periodo da teenager la mia attenzione si era spostata sulla storia d’amore tra Han Solo e la principessa Leyla.
Crescendo si scopre poi un approccio più profondo, a suo modo anche religioso: il concetto della Forza, il suo lato oscuro, il ruolo degli Jedi, l’evoluzione di una dittatura. Sono sfaccettature che non tutti sono in grado di cogliere. Ogni volta che rivedo un film della saga scopro dettagli che non avevo notato in precedenza. Anche l’ultimo episodio, per quanto sia stato criticato, mi ha entusiasmata perché mi ha permesso di rivedere il mondo dei miei personaggi preferiti con il rimando a codici del passato per una storia che si sta evolvendo nel futuro, anche nelle sue contraddizioni. E a me le contraddizioni piacciono perché racchiudono sempre un mistero da scoprire.
Per quanto riguarda la fotografia: sono rinomata da sempre come “quella che fa le foto a chiunque”. Sono e rimarrò un’autodidatta: non ho mai voluto seguire un corso perché ho paura di diventare troppo tecnica, di preoccuparmi della giusta luce, esposizione e inquadratura e rischiare di perdermi il meglio dello spirito che mi porta a fotografare. Restando senza gli occhi del professionista immagazzino più ricordi.
«La mia macchina fotografica è un po’ la mia custode della memoria. È frustrante per me non immortalare qualcosa che meriterebbe di rimanere per sempre».
La mia macchina fotografica è un po’ la mia custode della memoria. È frustrante per me non immortalare qualcosa che meriterebbe di rimanere per sempre.
Non risiedi a Milano, fatto forse insolito per una “donna in carriera” ma a Cesano Maderno, un piccolo borgo di provincia. Ci sono dei motivi che ti hanno portata a scegliere di non traslocare armi e bagagli nella metropoli?
Sono cresciuta in provincia e credo che questa sia la dimensione perfetta per stare bene. Può sembrare che io sia in contraddizione avendo vissuto anche in una metropoli come Londra, ma mi piace vivere in un luogo a mia misura per creare e mantenere la mia personale culla.
È questo l’aspetto che adoro di Cesano Maderno: scendere sotto casa e trovare il mio bar, il mio panettiere, tutte quelle facce e quelle persone di riferimento che mi fanno sentire a casa. Adoro le metropoli, ma se sono rimasta qui vuol dire che questa dimensione mi piace, più ogni altra cosa.
Articolo: Mauro Farina Shooting fotografico: Barbara Rigon