Marco Aurelio Fontana, pro rider: Pechino 2008, la sua prima Olimpiade a soli ventitré anni. Poi Londra 2012 e Rio 2016. Scopriamo la sua storia.
«Sono un uomo appassionato di bici, di manubri e di volanti. Sono un marito e un papà di due splendidi bambini. Sono un ragazzo a cui piace fare e condividere cose, progetti, visioni, giocare con le sue passioni e farlo insieme ai propri amici.
I “colpevoli”, se così si può dire, di questa mia passione per la bici sono il mio babbo e la mia mamma. Da bambino mi regalarono questo piccolo grande gioco, una mountain bike con la quale fare i primi salti dai marciapiedi, i primi sterrati, le prime derapate.
Non mi ci volle molto tempo a trovarmi aggregato a una squadra per gareggiare su strada.
Ma… Impiegai poco tempo per capire come l’asfalto non fosse in grado di regalarmi le stesse sensazioni dei percorsi in fuoristrada, perché non riusciva a darmi quello che io cercavo dalla bicicletta: il contatto con la natura.
Il passaggio ai percorsi sterrati, ai sentieri, al fango mi sembrò la cosa più naturale possibile. Qualche gara di ciclocross tra i percorsi fettucciati del motocross e poi, dal 2007, la mountain bike divenne il mio mezzo preferito in assoluto con il quale ho vissuto tutta la mia carriera da ciclista professionista: una vera e propria storia d’amore.
In questi dodici anni di carriera ho passato tantissimi momenti, partecipato centinaia di gare e competizioni internazionali e conosciuto migliaia di persone: atleti, addetti ai lavori, semplici appassionati. Come in tutte le cose della vita ho passato momenti felici e altri meno. Uno dei ricordi più belli in assoluto risale addirittura a quella fase della mia vita in cui ancora non potevo definirmi un professionista.
Era il 2002, il mio primo campionato italiano vinto. Una gioia che non si può spiegare a parole.
Certo, nessuna gara può darti le stesse sensazioni e la stessa intensità come partecipare ad un’Olimpiade, intensità ancora maggiore se l’Olimpiade la vivi da protagonista.
Pechino 2008, la mia prima Olimpiade a soli ventitré anni e un quinto posto ottenuto, Londra 2012, Rio 2016. Forse la gioia più grande nella forma del puro raggiungimento del risultato è stato il bronzo olimpico di Londra. Il momento in cui ho tagliato il traguardo di quella gara ho capito il vero significato di una medaglia olimpica: non la gloria, i soldi o la fama, ma il potere di comunicare alle persone attraverso la propria voce la bellezza della bicicletta.
«Il momento in cui ho tagliato il traguardo di quella gara ho capito di aver raggiunto qualcosa di importante e cosa significa veramente una medaglia olimpica». Marco Aurelio Fontana
Nella mia carriera ho anche attraversato momenti di difficoltà, e sono proprio quelli che all’inizio ti rimangono dentro un po’ di più. Certo a lungo andare poi passano, ma i brutti momenti sono quelli che bruciano tanto quando sono freschi. Sono quei momenti in cui la bicicletta ti piace un po’ meno, perché nonostante tutto quello che stai dando, quello che ottieni non è commisurato agli sforzi che stai facendo per lei e con lei.
Tutto però sta nella tua testa, nel riuscire a guardare comunque avanti.
Uno di quei momenti di difficoltà che ancora porto nei miei ricordi è stato Rio 2016. Avevo investito un anno intero di preparazione fisica con il mio allenatore per arrivare pronto e preparato a quel giorno.
Rio 2016, la mia ultima Olimpiade, una gara da dentro o fuori. Ecco, quel giorno non andò proprio niente per il verso giusto. Ero in testa fin dalle prime battute, ma verso la fine del primo giro forai una gomma e fui costretto a dire addio ai miei sogni di gloria.
Da una parte avevo la consapevolezza di aver raggiunto la forma fisica necessaria per lottare per una medaglia – un’altra medaglia, quattro anni dopo Londra – dall’altra la delusione di non aver potuto dare a tutte le persone che ti seguono quello che avrebbero meritato e che io sapevo di poter dare.
Questi momenti si superano grazie alle persone che si hanno accanto. Tutti possiamo farcela anche da soli, ma condividere e tirare fuori quello che ci opprime con le persone che ci sono vicine è fondamentale. Io ho avuto il privilegio di trovare al mio fianco mia moglie, il mio allenatore, la mia famiglia, la mia squadra.
«I momenti difficile si superano grazie alle persone che si hanno accanto». Marco Aurelio Fontana
Le sconfitte si possono affrontare solo in questo modo. Solo così non ci rimangono addosso a lungo.
Oggi sono in una fase della mia carriera in cui ho maturato alcune decisioni importanti. In questi ultimi anni di attività ho iniziato a raccogliere un po’ di idee, a usare carta e penna, a prendere appunti, segnarmi cose. In poche parole, mi sono messo a progettare qualcosa che ancora non esisteva e che oggi è diventato concreto raggiungendo forma e sostanza.
L’e-bike è il perno su cui ruota tutto il mio 2019 e il mio progetto, al quale sto dedicando cuore, anima ed energie. Le bici elettriche sono il presente prima ancora che il futuro: non si tratta di qualcosa che verrà, ma parliamo di una realtà forte, radicata e che desta interesse e curiosità. Oggi ci sono migliaia di persone che si stanno approcciando a questo nuovo tipo di mobilità: alcune sono consapevoli di quello che fanno o andranno a fare, altri molto meno.
Il mio progetto sta proprio lì, attorno a questa community nuova, fresca e desiderosa di capire. Voglio creare dei contenuti fruibili per queste persone, e lo farò nel modo che conosco meglio: andando in bicicletta in sella a una e-bike.
Toccherò tantissimi ambiti. Quello racing, perché parteciperò alle competizioni. Quello adventure perché sarò promotore e anima di viaggi itineranti in e-bike. Quello educational perché andrò a parlare di come utilizzare la bici elettrica per chi ancora lo ignora. Il mio progetto è partito quest’anno e ha un grande orizzonte davanti a sé.
Se proprio dovessi vedermi tra cinque anni vorrei che la gioia che provo andando in bicicletta avesse raggiunto la testa e il cuore delle persone anche attraverso questo modo completamente nuovo di vivere e comunicare la mia passione per le due ruote.
Sono certo che accadrà. Perché per avere successo, nella vita così come nelle competizioni, bisogna essere un p’’ visionari. Ecco, chiamatemi pure “il visionario della bicicletta”».
Marco Aurelio Fontana
Fotografie: Adriano Mujelli
Video: Davide Rudari – Simone Rudari